…cultura

Il richiamo alla cultura come strumento fondamentale per la lotta a ogni forma di razzismo e antisemitismo, e come antidoto ai visibili fenomeni di involuzione politica e sociale a cui assistiamo, non può essere interpretato come un semplice e generico auspicio. Si deve invece trattare di un concreto programma politico, che preveda l’investimento di importanti risorse in diverse direzioni.
La prima è l’educazione, il sistema di istruzione. La consistente spinta all’investimento nei settori più tecnologici, legati allo sviluppo d’impresa e alla modernizzazione, negli ultimi decenni ha fortemente distorto l’organizzazione dei sistemi educativi relegando a un ruolo ancillare l’intero comparto delle materie umanistiche. Si tratta di un duplice errore a cui deve essere posto rimedio. Il primo errore è legato alla sottovalutazione dell’enorme potenziale economico che può essere liberato nella valorizzazione del turismo culturale, in termini di occupazione, di competenze, di sviluppo di nuove tecnologie della comunicazione, di movimenti e flussi di persone. Il secondo errore risiede nella rapida e diffusa perdita di conoscenze storiche e di riflessione intellettuale, un’emorragia che favorisce visibilmente la crescita dei populismi in politica, con una trasformazione del concetto stesso di democrazia. Si arriva così al paradosso di un presidente turco con poteri semidittatoriali che in nome della democrazia e della volontà della maggioranza mette in atto la più macroscopica repressione di stampo fascista avvenuta in Europa negli ultimi 70 anni. Si tratta quindi di rivedere profondamente le dinamiche dei sistemi di istruzione, progettando un’educazione diffusa che stabilisca criteri condivisi di convivenza umana e umanistica.
La seconda è la comunicazione. Sempre nel nome della democrazia aperta e approfittando dell’enorme diffusione dei social network, si è andato affermando un modello di comunicazione che necessita urgentemente di correttivi, pena una lesione permanente del concetto stesso di libertà di parola. Il panorama conosce due poli estremi: da un lato il mondo delle dittature tipo Corea del Nord, Iran e – con qualche correttivo – la Cina. Lì il potere filtra o vieta completamente l’uso libero del web. Questo frena di molto la crescita economica, ma assicura un mantenimento sicuro del controllo sociale. All’altro estremo ci siamo noi, l’Occidente, in cui ad esempio uno strumento come Facebook permette liberamente ai terroristi l’utilizzo dei suoi canali, sostanzialmente senza limiti, arrivando anche qui al paradosso di un mondo delle libertà che produce strumenti utilizzati ampiamente da chi vuole distruggere quelle stesse libertà. Anche qui si tratta di avviare urgentemente una riflessione sul sistema delle comunicazioni e delle notizie, promuovendo lo sviluppo di una deontologia condivisa che crei una griglia delle libertà, capace di fornirci gli strumenti per capire quando un messaggio diventa potenzialmente distruttivo e dannoso per la civiltà umana.
La terza è il lavoro, inteso come momento in cui si esprime la creatività di una civiltà. Se condividiamo il fatto che la cultura debba essere potenzialmente un patrimonio di tutta l’umanità, siamo anche costretti a riconoscere che il lavoro creativo deve ritornare al centro della programmazione politica. La fascinazione per il virtuale ha certamente potenzialità incredibili: certo, se invece di andare alla ricerca di Pokemon da allevare con lo smartphone si utilizzasse la stessa tecnologia a fini educativi gli sviluppi cognitivi sarebbero senza dubbio notevoli, e il vantaggio non si limiterebbe a salvare i disastrati conti economici della Nintendo. Ma cultura è anche prodotto materiale, concreto, è sapere artigiano che si nutre di letture e di esperienza. Perdere tutto questo significa rinunciare al proprio presente e alla costruzione di un futuro per lo meno vivibile, nel nome di una strampalata idea di postmodernità che ha già dimostrato tutti i suoi limiti.
La quarta è la scienza. La ricerca scientifica – come ho avuto modo di scrivere altrove – può determinare l’apertura nella società degli spazi di libertà necessari al miglioramento delle condizioni di vita sul nostro pianeta e delle condizioni di convivenza fra i diversi gruppi umani. Una ricerca scientifica che sottragga l’umanità dalla morsa della superstizione e dall’oppressione delle ideologie, che aiuti a comprendere sempre più a fondo i meccanismi della natura e a governare il rapporto fra l’umanità e la natura stessa. La ricerca scientifica come terreno neutrale e privo di “simboli” nazionali o religiosi può aiutare progetti di convivenza e aprire spazi alle libertà individuali e collettive.
La quinta è la religione, come fenomeno produttore di cultura. Non si tratta qui di fede, ma del riconoscimento che le culture religiose (non le gerarchie) hanno prodotto nella storia dinamiche umane e antropologiche che vanno conosciute e comprese nel profondo. Solo questa conoscenza ci aiuterà a combattere le odierne forme di fondamentalismo, che utilizzano in maniera strumentale i concetti base delle religioni per farne strumento di morte, distruzione, oppressione e potere.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

(22 luglio 2016)