Il declino di Symi
I venti di guerra della Turchia arrivano al Dodecanneso. Dove il turismo, già in crisi per la questione migranti che l’anno scorso aveva scoraggiato i vacanzieri a tornare, ha subito il colpo di grazia con l’attentato all’aeroporto di Istanbul e ora il mancato golpe turco.
A Symi e Rodi la tensione è palpabile. Elicotteri greci sorvolano giorno e notte il mare, alla ricerca di ribelli in fuga da Erdogan.
La guardia costiera turca perquisisce ogni barca che si avventuri nelle sue acque territoriali: militari salgono a bordo armati e perlustrano, pistola sguainata, ogni angolo per snidare eventuali clandestini.
E anche la Guardia Costiera greca, fiancheggiata dai militari di Frontex, controlla tutte le barche che si avventurano in mare o arrivano in porto. Forse temono che si ripeta la tragica situazione dell’anno scorso, con i rifugiati politici che arrivavano a centinaia ogni giorno, ma intanto finiscono per fare il gioco di Erdogan.
I ricchi turchi, che foraggiavano generosamente negozi e ristoranti greci arrivando a bordo dei loro caicchi lussuosi, ora non si vedono più. Ma non si vedono più nemmeno i caicchi più modesti dei charter che includevano nei loro giri settimanali qualche fermata nelle isole greche. Infatti i greci hanno varato misure estremamente restrittive all’ingresso nelle loro acque territoriali delle barche turche, per motivi incomprensibili a qualsiasi logica, se non a quella dell’odio per i vicini che per tanti secoli li hanno dominati e dell’invidia per il fiorente turismo marittimo turco (mentre quello greco è praticamente inesistente).
Come la classica metafora del marito che si taglia gli attributi per non far godere la moglie, i greci preferiscono la fame al successo dei loro antagonisti. E così ogni giorno esce qualche norma, sempre più restrittiva. Le barche commerciali turche non possono più caricare turisti a Rodi – fino all’anno scorso era permesso – e addirittura non possono portare passeggeri in Grecia se battono bandiera americana (la maggior parte dei caicchi commerciali, per ragioni fiscali e di anonimato, issa la bandiera del Delaware). Migliaia di prenotazioni sono state cancellate, migliaia di caicchi dondolano disoccupati nei porti turchi, dove nessuna persona sana di mente andrebbe oggi a imbarcarsi.
I greci ne sono felici, odiano i turchi, un popolo fino a pochi decenni fa esclusivamente contadino, che in pochi anni ha messo in piedi una flotta commerciale straordinaria, mentre loro, marinai e armatori da sempre, non sono riusciti a creare una offerta turistica consistente per chi vuole passare una o più settimane in barca, girando fra le isole. Fino a un secolo fa, i sultani facevano costruire la loro flotta ai greci: oggi i cantieri turchi sono concorrenziali con quelli europei e il tradizionale caicco, comodo ma tozzo e costruito con legni poco pregiati, ha assunto linee e finiture eleganti.
Commercianti, albergatori e ristoratori delle isole più vicine alla Turchia si lamentano delle nuove misure e soprattutto della meticolosità con cui vengono eseguite (fino a due anni fa la Guardia Costiera a Symi non usciva mai per mancanza di carburante: ora è perennemente mobilitata). L’eccezione è Rodi, dove i turisti che non sono riusciti a imbarcarsi sui charter e hanno dovuto cancellare le gite a Bodrum e Marmaris (collegate da comodi ferry boat) affollano ora alberghi, ristoranti e negozi: si dice che a Rodi sia difficile trovare una stanza.
Per fortuna nel Dodecanneso cominciano ad arrivare i russi, che amano la Grecia per via della comune liturgia ortodossa.
I russi che arrivano a Symi sono gente modesta, non ricconi– a parte qualche oligarca come Abramovich (che l’anno scorso si è fatto costruire vicino a Bodrum un caicco di 120 metri, il più grande mai realizzato – ma quest’anno per ora non si è visto).
Arrivano con i ferry pubblici, comprano qualche souvenir nel porto e soprattutto vanno in pellegrinaggio a Panormitis, il monastero dell’Arcangelo Michele, che pare sia miracoloso per le donne sterili desiderose di figli. Accendono candele, si inginocchiano, si segnano tre volte di fila, ramazzano i piedi dell’icona (pare serva a spazzare via le energie negative) e baciano religiosamente il vetro che protegge dalle espansività dei credenti l’immagine dell’arcangelo, rivestita di una corazza d’argento.
Meglio i cristiani dei musulmani, dicono a Symi – anche se i musulmani che arrivavano qui si rifornivano abbondantemente di alcolici nel negozio porto franco dell’isola e le loro donne sfoggiavano bikini mozzafiato. Ma la paura atavica qui è di essere invasi dai turchi, senza distinzione di censo o di credo. E si può capire la ragione..
E così, Symi è ritornata il paradiso che era trent’anni fa, con il mare pulito perché non ci sono le barche a inquinare, il porto tranquillo, le spiagge deserte, e niente ingorghi di traffico. Ma che cosa faranno d’inverno gli abitanti, abituati a vivere tutto l’anno sui proventi della stagione estiva? La crisi greca non accenna a guarire, e si prova molto pena per questo popolo, forse l’ultimo rimasto capace di rinunciare per orgoglio al guadagno.
A.K.
(24 luglio 2016)