“Oggi Erdogan è l’eroe nazionale chi osa criticarlo è un traditore”
Dopo il fallito golpe a Erdogan, in Turchia tutti fanno attenzione a chi e a come parlano. Il presidente turco, come raccontano le cronache degli scorsi giorni, ha avviato una durissima campagna di repressione, incarcerando e allontanando migliaia di persone considerate responsabili o in contattato con i golpisti. “La preoccupazione di tutti è che Erdogan approfitti del colpo di stato per consolidare il suo potere, cancellare ogni opposizione. In questo momento nessuno osa criticarlo, farlo significherebbe essere additati come traditori. Oggi il presidente è l’eroe della patria, il salvatore della Costituzione”, spiega a Pagine Ebraiche un membro della Comunità ebraica turca, che preferisce rimanere anonimo. La Comunità, spiega, non è toccata dagli attuali rivolgimenti ma sta alla finestra e osserva quanto accade nel paese. “È stata una fortuna che il golpe non sia andato a buon fine – spiega con un certo pragmatismo – altrimenti questo Paese sarebbe finito nel caos”. Anche il rabbino capo di Turchia Ishak Haleva, secondo quanto riportano alcuni quotidiani ebraici, avrebbe condannato in una nota congiunta firmata con il patriarca ortodosso Bartolomeo I il tentativo di rovesciamento contro il presidente Erdogan. Quello che è palese, afferma la persona sentita da Pagine Ebraiche, “è che i golpisti non avevano la forza di portare a termine il loro intento. Secondo la Cnn turca, uno dei capi della rivolta, un generale, è stato ucciso ancora prima dell’avvio dell’operazione clandestina da un suo luogotenente con un colpo in testa. C’erano quindi forti divisioni anche all’interno dell’esercito. Era spaccato a metà. E la Turchia ha rischiato di diventare una polveriera”.
Secondo l’intervistato Erdogan non ha ancora sotto controllo la situazione, per questo negli scorsi giorni ha chiesto più volte al popolo di scendere in piazza, in modo da ostacolare un eventuale nuovo tentativo di golpe. “Quando il tuo paese rischia di spaccarsi è normale che invochi lo stato di emergenza e cerchi di fare pulizia al tuo interno. Sono migliaia le persone legate al sistema costruito dall’imam Fethullah Gullen (l’uomo, un tempo alleato di Erdogan, che il presidente considera come primo artefice del colpo di stato): erano presenti nell’esercito, nella scuola, nella giustizia. Secondo i media, vi erano posizioni a cui potevi accedere solo se facevi parte della rete messa in piedi da Gullen”. Ora Erdogan è impegnato a spazzare via questa realtà e a farlo nel modo più duro e immediato possibile. Anche in spregio ai diritti fondamentali dei cittadini turchi, denunciano diverse ong internazionali. Come dimostra la scelta dell’anonimato, anche l’intervistato è preoccupato dalla situazione seppur contrario al colpo di Stato che, afferma, avrebbe gettato la Turchia in una crisi simile a quella siriana. “Non dimenticatevi dov’è la Turchia. L’Isis già adesso a sud riesce a passare oltreconfine, i migranti premono su un altro lato, i curdi rivendicano l’autonomia. Tutti ingredienti esplosivi”. Ma anche vedere in queste ore nelle strade i sostenitori di Erdogan urlare slogan islamici non è rassicurante. “La laicità di questo Paese è a rischio e lo si vede da quello che succede nelle piazze. Dovete pensare che a queste persone a lungo è stato vietato di professare liberamente il loro culto e l’arrivo di Erdogan ha conciso con il loro riscatto sociale. Ora è il loro momento e si fanno sentire”. Sin troppo. Se vi è effettivamente una maggiore rappresentazione del mondo radicale islamico questo costituisce comunque una minoranza nel paese (circa il 10 per cento). D’altra parte, rilevava su queste pagine Avraham Hason, ebreo di origine turca ed ex consigliere della Comunità ebraica di Milano, “è necessario fare attenzione alle notizie che arrivano in Italia. Per esempio sulla stampa nazionale si parlava di un obbligo esteso a tutte le donne di portare il velo – osserva – ma mia moglie si trova in Turchia in questi giorni e mi ha detto che può tranquillamente girare per le strade indossando tutto ciò che desidera”.
Il problema in ogni caso è la direzione intrapresa da Erdogan, sempre più autoritario. “Non ha appoggiato direttamente la pena di morte ma ha detto che se il popolo la chiederà lui lo seguirà – afferma il rappresentante della realtà ebraica turca, che ricorda come il presidente abbia la tendenza a calpestare i diritti d’espressione e le libertà individuali – Io per principio sono contrario. Le vendette non fanno bene a nessuno”. Chiediamo ancora come vivano gli ebrei in questa atmosfera sempre più pesante, visto che arrivano voci di persone sempre più propense a fare l’aliyah o comunque disposte a lasciare la penisola (in tanti, avendo origine sefardita e grazie a una normativa in Spagna e in Portogallo, hanno fatto richiesta per ottenere il passaporto di questi due paesi). “Io li capisco. La situazione è molto critica. Capisco che ci sia chi ha dubbi su quale sia il futuro della Turchia. Non è più il paese bello e tranquillo e non si può vivere bene vedendo tutte queste cose attorno a te”.
Daniel Reichel
(24 luglio 2016)