Qui Venezia – Redazione Aperta
Il Rinascimento di Aldo Manuzio

IMG_20160726_142553 È a lui che si deve l’invenzione del libro moderno, così come lo sfogliamo oggi. È a lui che si deve la pubblicazione dei classici greci e latini e la conseguente nascita di una cultura europea con radici comuni. È a lui che si deve anche la stampa di molti testi in volgare, che si affermò così come la nuova lingua d’Italia, ma anche ebraici, grazie a un cosmopolitismo che nella Venezia trovava una delle sue massime espressioni. Si tratta di Aldo Manuzio, protagonista di una mostra alle Gallerie dell’Accademia intitolata “Aldo Manuzio. Il Rinascimento di Venezia”, in corso fino alla fine di luglio. A guidare il gruppo di Redazione Aperta tra i libri antichi e le opere d’arte coeve dell’esposizione è stata Raffaella Di Castro, del Centro bibliografico dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che ha sottolineato come il percorso nasca per mostrare come “i libri abbiano influenzato anche le arti figurative, in una stagione culturale straordinaria”.
Aldo Manuzio visse tra la seconda metà del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento, il periodo in cui Venezia conquistò definitivamente il ruolo di cerniera tra l’Oriente e l’Occidente, passando da essere semplice piattaforma per scambi di natura commerciale a luogo dove si mescolano culture, tradizioni, saperi. Quelli furono anche gli anni in cui nacque il ghetto della città lagunare, istituito nel 1516, di cui in questi giorni si ricorda il cinquecentenario e che divenne un luogo simbolo di questo crocevia di culture. In questo contesto si colloca il lavoro di Manuzio come editore, grammatico e umanista italiano, che introdusse numerose innovazioni destinate a segnare la storia dell’editoria e promosse avanzamenti della tipografia insuperati per molti secoli.
Un’opera che nacque da un suo desiderio personale, ha raccontato Di Castro, poiché “come insegnante era insoddisfatto dei libri che usava e volle pubblicarne di nuovi”. Come viene spiegato nei pannelli della mostra – curata da Guido Beltramini, Davide Gasparotto e Giulio Manieri Elia – sfruttando l’imponente rete logistica della quale solo una città mercantile come Venezia poteva disporre, Manuzio riuscì così a immaginare e realizzare il suo straordinario programma che per la prima volta prevedeva di rendere disponibili al pubblico degli studiosi e di letterati del suo tempo i grandi classici della cultura antica. In un nuovo formato, più piccolo, comodo ed economico rispetto ai massicci e costosi codici medievali, che Di Castro ha definito il “prototipo del tascabile”, furono quindi pubblicate le opere della cultura greca, da Omero ad Aristotele, da Sofocle a Euripide a Tucidide, per poi raccogliere i testi latini da Virgilio a Cicerone, da Orazio a Ovidio, a Catullo, a Properzio, Lucrezio, Giovenale, Marziale, e ancora ebraici e italiani della nuova letteratura in volgare.
La circolazione di questo patrimonio di testi e di idee, ha aggiunto Di Castro, non solo contribuì a creare una cultura comune europea, capace di trovare e ridare significato alle sue radici comuni della cultura greco-romana nel mondo moderno e contemporaneo, ma favorì anche una rivoluzione nel campo delle arti figurative, i cui maestri ne trassero una grande ispirazione. “La natura ad esempio torna ad avere un ruolo centrale nelle loro opera, in cui la natura perde la connotazione ostile che aveva in epoca medievale e ne assume invece una più legata al pensiero classico di culla della civiltà umana, un luogo quasi paradisiaco”. Una commistione che ben si legava alla personalità di Manuzio: “Era un perfezionista – ha concluso Di Castro – e come tale teorizzava l’armonia e l’equilibrio tra tutte le arti”.

Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked

(27 luglio 2016)