Venezia, gli ebrei, l’Europa – Dario Calimani
Il Mercante e la dignità del testo

IMG_20160728_110737_edit_edit“Il mercante di Venezia? Una critica della società, che si cela nei dettagli, nella complessità dei personaggi, ma soprattutto nelle ambiguità linguistiche che il testo lascia al lettore”. A spiegarlo, Dario Calimani, anglista e docente dell’Università Ca’ Foscari di Venezia nel corso dell’incontro organizzato per Redazione aperta, il laboratorio giornalistico realizzato tra Trieste e Venezia dalla redazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. L’incontro con Calimani è stata l’occasione per un confronto su Il mercante di Venezia, di cui lo studioso, tra i più autorevoli esperti dell’opera shakespeariana, ha pubblicato un’apprezzata nuova traduzione annotata e commentata per i tipi di Marsilio (qui il testo dell’introduzione al volume firmata da Calimani). Nell’ambito delle iniziative culturali promosse in occasione del cinquecentenario del ghetto della città lagunare, Il mercante di Venezia è protagonista questa settimana di una messa in scena per la prima volta proprio nel campo del ghetto nuovo. “Il Mercante è un testo che pone moltissime domande – ha osservato Calimani – un dramma problematico il cui testo va letto in profondità e non può essere interpretato solo parzialmente”. Per lo studioso è necessario restituire al testo di Shakespeare – e non solo – la propria dignità, senza distorcerne il senso cercando di attualizzarlo a tutti i costi o attribuirgli risposte che invece non vi si trovano.
Per coglierne il messaggio, è secondo lui necessario comprendere la natura dell’opera shakespeariana, ricordando tra le altre cose la funzione di intrattenimento per tutti i ceti sociale che rivestiva il teatro all’epoca. In scena il drammaturgo doveva dunque portare “una fiction, che doveva essere movimentata ed eclatante, e colpire ma allo stesso tempo non infastidire più di tanto, altrimenti nessuno avrebbe più comprato i biglietti”. A questo si lega una delle questioni più dibattute che scaturiscono dal Mercante di Venezia, e cioè se si tratti di un’opera antisemita o filosemita. Un interrogativo che però, spiega Calimani, è un abbaglio. “Chi vuole provare l’una o l’altra cosa prende in considerazione solo una sezione del testo, e in realtà si può dire che Shakespeare non fosse né antisemita né filosemita”, ha affermato lo studioso. “Proprio per le ragioni commerciali a cui era vincolato il teatro egli non poteva scrivere un testo su un ebreo come personaggio positivo – ha rilevato – e dunque lo rappresentò come un usuraio perché era l’unico modo in cui fosse concepito”. Quella che avviene però per Calimani è una vera e propria decostruzione: “Shylock, in quanto ebreo, rappresenta i pregiudizi dell’antigiudaismo dell’epoca, l’avidità, la diversità in un’accezione negativa, il tradimento di Cristo – le sue parole – ma Shakespeare mostra anche tutta l’umanità di questo personaggio, in particolare attraverso i suoi monologhi, e soprattutto fa emergere la mancanza di umanità della realtà che lo circonda. Quella del Mercante è una società ipocrita, che si traveste continuamente, in cui l’amore è sempre legato al denaro, in cui per trovare il primo si ricerca il secondo con avidità, innescando un meccanismo in cui i soldi chiamano altri soldi, un sistema di fatto di usura. In questo senso si tratta in fondo di una società usuraia e palesemente ipocrita e falsa – ha concluso Calimani – ciò che rimprovera all’ebreo in realtà è ciò che la contraddistingue e la caratterizza”.

Francesca Matalon

(28 luglio 2016)