Venezia, gli ebrei, l’Europa – Dario CalimaniIl Mercante e la dignità del testo
“Il mercante di Venezia? Una critica della società, che si cela nei dettagli, nella complessità dei personaggi, ma soprattutto nelle ambiguità linguistiche che il testo lascia al lettore”. A spiegarlo, Dario Calimani, anglista e docente dell’Università Ca’ Foscari di Venezia nel corso dell’incontro organizzato per Redazione aperta, il laboratorio giornalistico realizzato tra Trieste e Venezia dalla redazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. L’incontro con Calimani è stata l’occasione per un confronto su Il mercante di Venezia, di cui lo studioso, tra i più autorevoli esperti dell’opera shakespeariana, ha pubblicato un’apprezzata nuova traduzione annotata e commentata per i tipi di Marsilio (qui il testo dell’introduzione al volume firmata da Calimani). Nell’ambito delle iniziative culturali promosse in occasione del cinquecentenario del ghetto della città lagunare, Il mercante di Venezia è protagonista questa settimana di una messa in scena per la prima volta proprio nel campo del ghetto nuovo. “Il Mercante è un testo che pone moltissime domande – ha osservato Calimani – un dramma problematico il cui testo va letto in profondità e non può essere interpretato solo parzialmente”. Per lo studioso è necessario restituire al testo di Shakespeare – e non solo – la propria dignità, senza distorcerne il senso cercando di attualizzarlo a tutti i costi o attribuirgli risposte che invece non vi si trovano.
Per coglierne il messaggio, è secondo lui necessario comprendere la natura dell’opera shakespeariana, ricordando tra le altre cose la funzione di intrattenimento per tutti i ceti sociale che rivestiva il teatro all’epoca. In scena il drammaturgo doveva dunque portare “una fiction, che doveva essere movimentata ed eclatante, e colpire ma allo stesso tempo non infastidire più di tanto, altrimenti nessuno avrebbe più comprato i biglietti”. A questo si lega una delle questioni più dibattute che scaturiscono dal Mercante di Venezia, e cioè se si tratti di un’opera antisemita o filosemita. Un interrogativo che però, spiega Calimani, è un abbaglio. “Chi vuole provare l’una o l’altra cosa prende in considerazione solo una sezione del testo, e in realtà si può dire che Shakespeare non fosse né antisemita né filosemita”, ha affermato lo studioso. “Proprio per le ragioni commerciali a cui era vincolato il teatro egli non poteva scrivere un testo su un ebreo come personaggio positivo – ha rilevato – e dunque lo rappresentò come un usuraio perché era l’unico modo in cui fosse concepito”. Quella che avviene però per Calimani è una vera e propria decostruzione: “Shylock, in quanto ebreo, rappresenta i pregiudizi dell’antigiudaismo dell’epoca, l’avidità, la diversità in un’accezione negativa, il tradimento di Cristo – le sue parole – ma Shakespeare mostra anche tutta l’umanità di questo personaggio, in particolare attraverso i suoi monologhi, e soprattutto fa emergere la mancanza di umanità della realtà che lo circonda. Quella del Mercante è una società ipocrita, che si traveste continuamente, in cui l’amore è sempre legato al denaro, in cui per trovare il primo si ricerca il secondo con avidità, innescando un meccanismo in cui i soldi chiamano altri soldi, un sistema di fatto di usura. In questo senso si tratta in fondo di una società usuraia e palesemente ipocrita e falsa – ha concluso Calimani – ciò che rimprovera all’ebreo in realtà è ciò che la contraddistingue e la caratterizza”.
Francesca Matalon
(28 luglio 2016)