Venezia, gli ebrei, l’Europa Viaggio nel libro ebraico
Sala piena ieri alla Libreria Sansoviniana della Biblioteca Marciana, a Venezia, per il convegno “Venice and the Hebrew Book” organizzato in collaborazione con la National Library of Israel grazie al supporto della Rothschild Foundation, e con il patrocinio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del Comitato per i 500 anni del ghetto. Un interesse che ha colpito gli organizzatori, a partire da Maurizio Messina, direttore della Marciana, che nel suo discorso di benvenuto ha voluto sottolineare il successo di un collaborazione fortemente voluta, incentrata proprio sull’idea di scambio e condivisione delle conoscenze. David Blumberg, direttore della National Library of Israel, colpito dal successo di un’iniziativa destinata originariamente agli specialisti e dopo aver ringraziato tutti coloro che hanno sostenuto l’iniziativa, a partire da Sally Berkovic, della Rothschild Foundation Europe, ha voluto ricordare come la National Library di Israele non sia solo la biblioteca degli israeliani, ma la biblioteca degli ebrei di tutto il mondo. L’appuntamento internazionale dedicato alla storia culturale e sociale della stampa del libro ebraico a Venezia, voluto e organizzato in occasione delle manifestazioni legate al Cinquecentenario dell’istituzione del Ghetto di Venezia, ha proposto una riflessione sulle dinamiche che hanno portato l’industria tipografica della Serenissima ad affermarsi fra il Cinquecento e il Seicento come principale motore di produzione di libri ebraici e soprattutto come luogo di incontro culturale.
“È un piacere e un privilegio rappresentare il Comitato per i 500 anni del ghetto – ha affermato Shaul Bassi in apertura del suo intervento, portando anche i saluti del presidente della Comunità ebraica veneziana Paolo Gnignati – ma voglio sgomberare il campo da qualsiasi possibilità di equivoco: non siamo qui per celebrare il ghetto, ma per sottolineare e approfondire la conoscenza della reazione e della creatività con cui gli ebrei hanno risposto alla limitazione della libertà di cui sono stati vittima. Le iniziative per ricordare i 500 anni dall’istituzione del ghetto vogliono essere l’inizio di una nuova rinascita, a partire dal ripensamento e dal rinnovamento del museo ebraico cittadino, grazie anche a David Landau, nuova guida del progetto. E la biblioteca e archivio Renato Maestro è il secondo cardine: guardiamo al passato per costruire il nostro futuro”. E proprio il direttore della biblioteca Renato Maestro, lo storico Gadi Luzzatto Voghera, recentemente nominato nuovo direttore del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano ha aperto il convegno con un inquadramento storico che ha presentato esperienze di fondamentale importanza, come la stampa della prima edizione completa del Talmud ad opera di Daniel Bomberg, il cui laboratorio era un esempio di convivenza e integrazione, cui si sono alternati episodi di segno opposto, come il rogo proprio del Talmud in Piazza San Marco. Storie di concorrenza sleale, e il primo esempio di copyright della storia, vicende che dalle prime forme di censura hanno portato a una sorta di autocensura, fatta dai rabbini, fino ad arrivare alla stampa del Talmud autorizzata solo a condizione che la parola non comparisse in copertina. Una storia appassionante, cui ha dato voce nella prima sessione il professor Emile Schrijver, Direttore generale dello Joods Historisch Museum e del Jewish Cultural Quarter di Amsterdam, nonché Professore di Storia del libro ebraico all’Università di Amsterdam. Il suo intervento ha portato l’attenzione sulla convivenza delle stamperie con la produzione di manoscritti, che non si è mai interrotta, mantenendo un ruolo cruciale nella trasmissione del sapere ebraico a Venezia dal XVI al XVIII secolo. Studi recenti, incentrati proprio sui manoscritti, includono sia codici destinati ad un’élite istruita, sia alcuni libri di preghiere e diversi esemplari di meghillat Ester, illustrati. I ricercatori hanno approfondito lo studio delle strategie alla base della scelta di un particolare strumento, che sia libro o rotolo, di una tecnica speciale, scrittura a mano oppure stampa, e dell’aggiunta o della mancanza di decorazioni insieme alla predilezione per una lingua fra l’ebraico e l’italiano. Dinamiche culturali e sociali che hanno contribuito a realizzare un’esperienza di lungo periodo, destinata a segnare profondamente sia la storia dell’ebraismo moderno, sia i percorsi di confronto fra mondo ebraico e mondo cristiano. Yoel Finkelman, secondo relatore della prima sessione, curatore della Haim and Hanna Salomon Judaica Collection presso la Biblioteca nazionale di Israele e in passato docente presso il Dipartimento di Storia ebraica ed ebraismo contemporaneo dell’Università Bar-Ilan, ha dedicato il suo intervento all’evoluzione e allo sviluppo dell’impaginazione, sviluppata dai più importanti stampatori di testi ebraici nella Venezia del XVI secolo, Bomberg, Giustiniani e Bragadin. Le opere rabbiniche, in cui il testo centrale è circondato da numerosi commentari e apparati scientifici che dialogano fra loro, hanno sviluppato questa impostazione a partire dai manoscritti sia latini che ebraici, e anche basandosi su incunaboli rabbinici, ma la stamperia della Venezia del XVI secolo ne fece la matrice canonica dei libri rabbinici più importanti, il cui influsso resta evidente nelle edizioni fino al XX secolo, molto dopo la sua caduta in disuso in altre discipline. Filosofia dell’educazione, teoria della lettura e dello studio implicita nella pagina stampata, sostengono l’idea che l’impaginazione rispecchi l’atteggiamento stesso nei confronti del senso dell’apprendimento rabbinico. Un’impostazione capace di influenzare grandemente l’opera degli stampatori, che proprio gli stampatori veneziani permise di perpetuare nel tempo.
La seconda sessione è stata aperta da Katrin Kogman-Appel, titolare della cattedra “Alexander von Humboldt” in Studi ebraici presso la Westfälische Wilhelms-Universität di Münster, ha approfondito il tema della relazione fra l’arte ebraica e quella cristiana nella tarda antichità a partire dalla pittura nel manoscritto ebraico. Moses da Castellazzo, artigiano veneziano che all’inizio del XVI secolo ha realizzato una Bibbia, oggi perduta, intagliata nel legno. Le immagini della copia conservata al Jewish Historical Institute di Varsavia sono state la base dell’intervento, dedicato agli intenti didattici di Mosè dal Castellazzo, ed al suo successo in termini sia di pubblico che di commerciabilità nell’ambito delle prime stamperie ebraiche. A chiudere il convegno l’intervento di Howard Adelman (Queen’s University Kingston, Ontario), direttore del programma di Jewish Studies ed esperto di storia delle donne ebree in Italia e in della figura del veneziano Leone da Modena, rabbino ed autore erudito e prolifico. Sara Copia Sullam poetessa, polemista e patrona delle arti, non soltanto fu tra le figure più significative del Ghetto, ma contribuì insieme a Leone da Modena a creare legami fra intellettuali ebrei e cristiani. Nelle accademie veneziane, italiane ed europee e nei circoli letterari e filosofici dell’Europa della prima età moderna i membri intrattenevano organizzavano dibattiti che utilizzavano parodia, paradosso e provocazione condividendo interessi per le arti, la musica, la poesia e i libri. Rapporti che riuscivano a oltrepassare le porte del Ghetto, e che portarono all’elaborazione di un lessico condiviso e di interessi comuni, che consentirono un appassionato coinvolgimento reciproco fatto di interazioni e di interessi comuni. Come la comunità ebraica e quella cristiana non sono mai state reciprocamente impermeabili, non è possibile separarne le esperienze, così la storia del ghetto di Venezia non va intesa come un avvenimento circoscritto, quanto piuttosto come la storia di connessioni, reti e relazioni.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(29 luglio 2016)