Ticketless – Mayflower provvisorio

Cavaglion Nell’epistolario di Augusto Monti, appena pubblicato da ArabaFenice (Continuare per cominciare. Lettere 1910-1966) sono comprese parecchie missive indirizzate a Maria Vittoria e, soprattutto, Paola Malvano. Non si sono conservate, ed è un peccato, quelle di Paola al suo “profe”, che sarebbero state di estrema utilità per far luce sugli albori del sionismo italiano. Insieme al marito, Paola farà la sua aliyah nel 1939, rimanendo sempre in affettuosa corrispondenza con il professore del Liceo D’Azeglio. Uomo dell’Ottocento, Monti guardava al sionismo con distacco affettuoso, senza pregiudizi, ma lo stile è inconfondibile: “Dai Normanni ai Piemontesi, dal mille al mille novecento, i migliori italiani sono sempre stati dei forestieri: se ora anche voi”, scrive a Paola l’11 agosto 1932, “ve ne tornate, sia pure in ispirito, donde siete venuti, chi ci resterà in questa povera Italia? Gli Italiani? Ahi! Ahi!”. Paola era appena rientrata da quello che Monti chiama “un provvisorio Mayflower”: il primo viaggio di studenti, “padri pellegrini”, capitanati da Leo Levi. Un pellegrinaggio che pochi anni dopo, causa le leggi razziali, diventerà definitivo. Meravigliosa, per la carica di pathos, la prima lettera inviata da Monti a Paola. La guerra è appena finita, siamo all’inizio del 1946, lo Stato d’Israele non è ancora nato: “Ho ancora in mente le vostre ultime parole in questa stanza, tra questi mobili, ‘Palestina’, ‘Sionismo’… se fossi ebreo, sarei sionista anch’io’ […] Adesso vi so come pensare, e dove pensare: il paesaggio a fondo color di terra invece che verde, le case nuove basse tra il verde nuovo, gli scrosci di pioggia alla stagion d’inverno con le improvvise schiarite, l’uomo con l’asino e il carico di libri e la consapevole distribuzione, la scuola delle bimbe, quella di tuo marito; e quel senso di nuovo e d’antichissimo, e quell’ansia di precarietà, e la curiosità e simpatia e l’ostilità d’un intiero mondo intorno a codesto esperimento di diaspora a ritroso, affascinante e tremendo come fu nei secoli l’altro nell’altro senso”.

Alberto Cavaglion

(3 agosto 2016)