Il viaggio nel vuoto

vercelli Qualche domanda bisognerà pure iniziare a porsela. Non perché dietro a singole scelte (o alla loro deliberata omissione) si delinei per forza di cose un disegno politico organico, un progetto chiaro e conchiuso, con tutti i tasselli già da subito messi al loro giusto posto. Semmai, e non è detto che la cosa debba inquietare di meno, è l’apparente occasionalità, l’intermittenza, l’aspetto fortuito ed imprevisto a dovere indurre ad un qualche supplemento di riflessioni. Non sorprende troppo, infatti, che nel programma di governo della città di Roma, presentato recentemente dalla sindaca Virginia Raggi, l’attuale maggioranza di giunta non preveda nulla per le attività legate alle memoria. Si tratta dei viaggi ad Auschwitz, ai luoghi del ricordo come le foibe, come anche le attività e forse la stessa continuità del museo della Shoah. La questione è stata sollevata da Carla Di Veroli, già delegata su questi temi da parte della precedente giunta capitolina, nella persona dell’allora sindaco Ignazio Marino. Può anche darsi che in corso d’opera un intervento estremo venga fatto per recuperare qualcosa ma il rischio, nel qual caso (peraltro improbabile, dinanzi alla mancanza delle correlative voci di bilancio, anche a fronte dell’avvenuta approvazione dell’assestamento di bilancio), è che, come si dice dalle parti di Verona, “l’è peso el tacon del buso”, ossia che la toppa si riveli peggiore del buco. L’impressione, infatti, è che non si tratti di una svista bensì di una deliberata cancellazione. Se fosse altrimenti, sarebbe allora bene che l’Amministrazione provvedesse a smentire quanto prima e con incontrovertibile chiarezza. Non risulta tuttavia che ciò sia avvenuto, almeno non al momento. E non sorprende. Poiché sembrerebbe di respirare un’aria piuttosto pesante o comunque viziata. Quella che a malapena riesce a coprire una sorta di silenziosa irritazione, una crescente indisponibilità corredata da una aggressività che, nel loro insieme, fanno riflettere. Prima di tutto nei confronti di ciò che è stato fatto, nel suo complesso e quindi a prescindere da singole valutazioni di merito. Forse anche per questo, a fronte del sogno illusorio, da parte di molti elettori, di potere saltare a piè pari gli effetti delle precedenti gestioni (un’illusorietà che si misura da subito nelle prime contraddizioni presenti nella compagine di governo capitolina, ma qui ognuno può valutare come meglio crede i fenomeni in atto, trattandosi prevalentemente di questione attinenti il giudizio politico individuale), si manifesta anche un’impalpabile insofferenza per quanto è stato realizzato per la diffusione di una coscienza critica nella cittadinanza e soprattutto tra i giovani. Al momento non siamo in presenza di segni espliciti nel senso di divieti o impedimenti ma, piuttosto, di vuoti e ‘buchi’. L’esperienza del passato ci induce comunque a pensare che ciò che manca spesso valga alla pari di quanto invece già c’è, nero su bianco. Ovvero che la rimozione (senza andare a scomodare i classici della psicologia e della psicoanalisi) sia indice di un pensiero non troppo facilmente manifestabile ma destinato comunque ad emergere, anche solo in forma indiretta, nei tempi a venire. Un pensiero, in questo caso, che aspetta il momento buono per esprimersi, cercando di non creare da subito eccessive tensioni. Non per virtù morale bensì per calcolo politico. Il punto, per essere chiari ed evitare sia fraintendimenti che allusioni fuori luogo, è che alle forze populiste (il termine si confà appieno a certe formazioni politiche oggi con il vento in poppa, in Italia come in Europa) storia e memoria interessano poco se non nulla. Ritenendole semmai una sorta di onerosa zavorra, della quale liberarsi. Poiché si tratta di un peso che obbliga a rivolgersi al presente con le cautele che derivano dalla cognizione del passato. Fatto che al “nuovismo” delle virtù giacobine espresso da una parte dell’elettorato non solo non interessa ma costituisce un impaccio e un impiccio. Un impaccio in quanto si vogliono avere le “mani libere”, presentandosi come la rivoluzione dei costumi e delle prassi che nulla deve a ciò che è stato, semmai azzerandolo; impiccio perché sembra diffuso, ancorché per il momento troppo inconfessabile come giudizio manifesto da parte di un movimento politico, il comune sentire che su certi “temi” si sia detto molto se non troppo, in omaggio ad interessi “particolaristici”, di gruppi che influenzerebbero “un po’ troppo” la discussione pubblica. Attribuire ad una giunta nata da poco una volontà politica chiaramente orientata in tal senso è forse eccessivo e ancora avventato. Non la stessa cosa, invece, può essere detta di una parte del suo elettorato come di altri esponenti politici (pensando anche ad un recente viaggio in Israele, terra nella quale da tempo certuni ritengono di dovere andare a sciacquare i panni, salvo scegliere i torrenti d’acqua sbagliati), tra i quali ambigue e irrisolte pulsioni nel merito del trittico ebrei-sionismo-Israele ma anche del rapporto tra passato-storia-cittadinanza sembrano essere uscite fortificate, e quindi legittimate, grazie anche alle ultime, premianti manifestazioni di voto. La qual cosa rende, per l’appunto, una spia luminosa certe assenze nei programmi di governo locali. Le motivazioni addotte, peraltro a titolo esclusivamente informale, personale e quindi colloquiale, da alcuni sostenitori dell’attuale maggioranza di governo metropolitano, giudicando ciò che si può leggere suoi social network, dove questi sono molto presenti, evocano la necessità di provvedere al rigore di bilancio, tagliando ciò che non è “strettamente necessario”. Non di meno, ed è una retorica immediatamente messa in circuito, il ventaglio polemico si apre da subito contro la partecipazione del personale politico che, nel qual caso, sarebbe un ingiustificato costo aggiuntivo a “spese del cittadino che paga”. In altre parole: quei signori lo hanno fatto solo ed esclusivamente per autopromozione, nascondendosi dietro al ruolo istituzionale abilmente rivestito. Che evitino di continuare a comportarsi così. Mica c’è bisogno della mediazione di “professionisti della parola”, di Soloni dell’indottrinamento, magari dei “professoroni” che usano parole difficili per intortare le coscienze. Le cose il “cittadino” le capisce da sé e chi dice altrimenti è perché lo vuole manipolare. E si guardi ai bilanci, una buona volta: ci sono ben altri ordini di emergenze! Su quanto i viaggi della memoria siano molto, poco o nulla necessari (così come le attività ad essi collegati e, più in generale, tutte le iniziative di tal genere assunte per i giovani) è giudizio da lasciare ai lettori (“cittadini”). Sulla necessità di impedire il “parassitismo” dei politici, magari qualche riflessione aggiuntiva sullo svolgimento delle legittime funzioni istituzionali e sullo status di rappresentanza collettiva occorrerebbe pur farla, a meno che non si voglia andare al grado zero delle medesime, nel nome di una democrazia diretta che però rischia di celare pessime sorprese. Su cosa infine si debba pensare, a partire da queste piccole spie di disagio (che dettagli poi non sono), di certe manifestazioni di condotta, forse e bene lasciare la parola ai diretti interessati. In una pagina dedicata alla “iniziativa a 5 Stelle per il Giorno della Memoria“ (da notare l’accostamento tra ricorrenza civile e attività partitica), ospitata, tra le altre, sul sito di Beppe Grillo, dopo un incipit di merito e un invito ecumenico “a far dialogare pacificamente le persone, per superare la follia del fanatismo ideologico, religioso, etnico“ si dà la parola direttamente a Simone Weil, la quale “pacifista che lottò contro nazismo e fascismo, proponeva una democrazia senza partiti, con elezioni libere, di cittadini liberi portatori e promotori di idee che si confrontano liberamente senza pregiudizi, fanatismi, prevaricazioni, imposizioni, discriminazioni“. Di essa si cita il Manifesto per la soppressione dei partiti politici del 1943, pubblicato postumo sette anni dopo. Il nesso tra lotta contro le dittature e libertà è ancora una volta istituito e identificato nella lotta contro la rappresentanza politica mediata. Quella dei partiti. A ciò, massimamente ispirati, gli estensori della pagina aggiungono della scrittrice e filosofa francese: “Vedeva già un Mondo, una politica, una società, una democrazia, fluida, aperta, di idee e non di ideologie di partito. Un Mondo che con la Rete oggi è possibile non solo sognare, ma realizzare“. Le maiuscole sono parte del testo in origine. Che bisogno c’è di viaggiare quando Internet fa già tutto? Ad intenditore le valutazioni del caso. Ai cittadini le scelte conseguenti, se bene informate e non solo suggestionate.

Claudio Vercelli

(7 agosto 2016)