Noi e l’Islam italiano

zeviProviamo a essere concreti, ovvero proviamo ad avanzare una piccola proposta. Parlando dell’Islam italiano, per essere concreti occorre partire da alcuni assunti di fondo: è urgente definire un modello che garantisca la libertà di culto e allo stesso tempo fornisca garanzie sulla trasparenza dei finanziamenti alle moschee e sulla formazione degli Imam; le comunità musulmane devono mettere in atto e rendere visibili tutte le misure possibili per isolare gli estremisti e i violenti, cose che oggi non sempre fanno; Al momento non ci sono le condizioni politiche per siglare un’Intesa con l’Islam italiano: mancano interlocutori riconosciuti da tutte le comunità, i più rumorosi sono spesso i più impresentabili (uno su tutti, Hamza Roberto Picardo) e comunque il dibattito pubblico difficilmente può consentire allo Stato di finanziare le moschee attraverso lo strumento dell’Otto per Mille; rimane irrisolta una domanda: se non si vuole che i soldi arrivino da Stati stranieri, come finanziare le moschee e le comunità? È giusto pretendere alcuni comportamenti virtuosi, come ad esempio la predica in italiano, non è invece accettabile che ogni qual volta si voglia costruire una moschea si inneschi un dibattito incivile contro la struttura sotto casa, salvo poi lamentarsi dei fedeli che il venerdì si riuniscono nei garage.
Come tenere insieme tutto questo?
Se ho ben capito, un esempio positivo, ancorché mai realizzato, risale alla Francia dell’epoca Sarkozy. L’idea sarebbe quella di costituire una Fondazione per l’Islam italiano, presieduta (questa è la mia proposta) non da musulmani ma da personalità riconosciute del panorama culturale e politico nazionale, che naturalmente dovranno interagire con le varie comunità musulmane. In questa Fondazione confluiranno le donazioni dei fedeli che intendono costruire una moschea, i finanziamenti degli Stati stranieri, eventuali ulteriori risorse derivanti da bandi pubblici, comunitari o da progetti approvati in ambito privato. In questo modo sarebbe garantita la trasparenza assoluta sul piano amministrativo, sarebbero mitigati gli effetti della litigiosità intra-islamica e lo Stato manterrebbe un controllo de facto su quanto accade, senza però assumersi responsabilità dirette di fronte a eventuali negligenze o inefficienze. Inoltre, questo sarebbe un metodo efficace per mettere alla prova i musulmani: chi collabora, è realmente intenzionato a integrarsi e a pregare, chi non lo fa, agisce con un’agenda diversa e forse inconfessabile.
È solo uno spunto agostano, ma forse ci si può lavorare.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi

(9 agosto 2016)