La Francia divisa da un costume
Il “burkini” e le libertà personali

Schermata 08-2457618 alle 15.21.21Continua a far discutere la decisione di alcuni comuni francesi di vietare i “burkini”, costumi da bagno portati da donne musulmane che lasciano scoperti solo il volto, le mani e i piedi. Alcune associazioni hanno denunciato il divieto bollandolo come un provvedimento islamofobo e chiedendo se atti simili non siano previsti anche per le suore, per chi porta la kippah o i crocifissi. Nelle scorse ore a dare sostegno all’iniziative dei comuni contro i burkini, il Primo ministro francese Manuel Valls. Parlando ai media transalpini, Valls ha dichiarato che questo tipo di costume da è compatibile con i valori francesi ed è “l’espressione di un’ideologia basata sull’asservimento della donna”. La questione ha aperto un acceso dibattito in cui si intrecciano i diritti delle donne, la laicità, il tema dell’integrazione e le libertà personali. Anche i quotidiani italiani hanno dato rilievo all’argomento: sul Corriere della Sera, il giurista Giorgio Sacerdoti, presidente della Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano e membro della Commissione consultiva sulla liberà religiosa della presidenza del Consiglio. Richiamando le affermazioni di un esponente musulmano italiano, che invocava la possibilità di legittimare nel nostro paese la poligamia, Sacerdoti sottolinea come questa sia “improponibile per il suo evidente contrasto con i principi fondamentali della nostra società prima ancora che, giuridicamente, per incompatibilità con l’ordine pubblico e il buon costume”. D’altra parte il giurista e docente alla Bocconi, già Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, spiega che “non si deve sottovalutare la tensione che, a livello meno radicale, la crescente presenza di immigrati provenienti da Paesi con ‘usi e costumi’ (come si diceva una volta) radicalmente diversi dai nostri, abbiano essi una base religiosa o meno, sta provocando e sempre più provocherà in Europa, suscitando risposte diverse”. “Sono evidenti – continua – le fratture sociali causate dalla non integrazione come quella dei magrebini nelle banlieu francesi, portatrici di alienazione e rivolte, quando non di adesione al terrorismo”. Anche in Italia, prosegue il professore, il tema dell’integrazione diventerà sempre più pressante e, a fianco di “giusti paletti per contrastare il perpetuarsi di usi incompatibili con le nostre leggi e naturalmente contrastare insegnamenti di odio e violenza nei luoghi di culto o altrove”, “dovremo accomodarci a usanze diverse dalle nostre fintanto che esse sono compatibili con i nostri principi fondamentali” e rientrano tra le libertà personali. Tra queste, l’abbigliamento e l’uso, come nel caso francese di “burkini”. “Un abbigliamento che rientra nella libertà personale, la quale in materia nei nostri Paesi è di estrema larghezza. Non si capisce il senso di vietare un evento idoneo anzi a favorire la partecipazione delle donne musulmane alle normali attività ricreative che noi tutti pratichiamo come i bagni in mare”.
Diversa l’opinione di Donatella Di Cesare che, sempre sul quotidiano di via Solferino, afferma che “coprire una donna vuol dire calpestare la dignità di tutte” e significa escluderle dallo spazio pubblico. “Una donna coperta dal burka è protetta, difesa, venerata? O non è forse mortificata? Esclusa soprattutto dalla reciprocità del “faccia a faccia”? A essere danneggiata non è solo la donna, la cui dignità viene calpestata, ma tutta la comunità che sul “faccia a faccia” reciproco si fonda. La posizione di Di Cesare.
C’è chi in queste ore poi ha ricordato come in Israele donne religiose, non solo musulmane, facciano liberamente il bagno con capi che coprono la maggior parte del corpo.

d.r.

(17 agosto 2016)