Tisha BeAv

Sara Valentina Di Palma“I rifugiati […] pregavano e supplicavano continuamente D-o, avendo visto la perdizione cui erano condannati loro ed i loro figli. […] dicevano che ciò non poteva continuare, e che D-o avrebbe sicuramente ascoltato le loro preghiere e fatto un miracolo”, racconta un testimone. Nei campi di transito si diffondono malattie a causa del sovraffollamento e delle precarie condizioni igienico sanitarie, in Europa come in Maghreb. 
Un’altra testimonianza denuncia le continue ruberie ai danni dei profughi, i maltrattamenti perpetrati dai trafficanti sulle navi. La profanazione dei tanti cadaveri caduti lungo il cammino per malattia o per inedia, nelle cui viscere i predoni cercano oggetti preziosi che gli sventurati esuli possano aver ingerito per nasconderli. Numerosi rifugiati sono venduti come schiavi o abbandonati in luoghi desertici, altri costretti alla conversione. Le epidemie ne stroncano a migliaia, qualcuno si salva tornando indietro e accettando di convertirsi. Delle navi, sovente sovraccariche per l’avidità dei trafficanti, molte fanno naufragio lasciando nel Mediterraneo migliaia di corpi. Chi si incammina a piedi viene fermato alle frontiere e inviato nei campi di raccolta dove resta a languire a lungo, controllato notte e giorno non tanto per l’integrità dei migranti minacciati dalle ruberie di profittatori senza scrupoli, quanto per evitare che cerchino di passare illegalmente il confine senza aver pagato le dovute tasse. 
Tutto ha inizio non venticinque anni fa con l’arrivo della Vlora a Bari con a bordo oltre ventimila persone partite dall’Albania, ma con il gherush ovvero, il 31 luglio 1492, l’espulsione degli ebrei spagnoli a seguito dell’editto di Granada emanato il 31 marzo dello stesso anno (e revocato formalmente solo nel 1968), a meno che non si convertano al cristianesimo. Cadeva, in quei giorni, Tisha BeAv, posticipato quest’anno  alla domenica passata e che commemora diversi eventi luttuosi i quali hanno colpito nei millenni Am Israel. 
Il giorno nove del mese di Av, infatti, erano ritornati gli esploratori che dovevano riferire sulla Terra di Canaan prima dell’entrata del popolo per conquistarla. I meraglim si fecero prendere dalla paura forse, videro o pensarono di vedere o vollero credere di aver visto cose grandi e terribili, giganti e un paese che divora i suoi abitanti. 
Dieci su dodici esploratori mostrarono così di aver perso fiducia nell’Altissimo che aveva promesso una terra di latte e di miele; la parashà diScelach ricorda i soli sue nomi di Iehoshua e Calev a tentare vanamente di opporsi a lashon harà degli altri dieci meraglim e a cercare di convincere il popolo ad avere fede, a non decidere di fare ritorno in Egitto. Ma il popolo pianse e si disperò tutta la notte, e come è scritto nel Talmud, “Disse Rabba in nome di R. Johanan: ‘Quella notte era la vigilia del nove di Av, e il Santo Benedetto disse ‘Avete pianto questa notte invano, ed ordino che le vostre generazioni piangano questo giorno per sempre'” (Mishna Ta’anit 4:6). 
Così, di Tisha BeAv piangiamo la distruzione del Primo e del Secondo Tempio di Gerusalemme ad opera rispettivamente dei babilonesi e dei romani, i quali causarono così la prima e la seconda dispersione, il galut che ancora ci affligge. Così, il Nove di Av i romani piegarono la rivolta di Bar Kokhba ed assassinarono quasi seicentomila civili ebrei (altro numero ricorrente, come seicentomila furono gli ex schiavi che seguirono Moshe Rabbenu fuori dall’Egitto e seicentomila i cittadini del neonato Stato di Israele dopo la dichiarazione di indipendenza). 
Tanti altri furono, e forse purtroppo saranno, i Tisha BeAv di pianto nelle nostre generazioni, scelti talvolta con intenzionalità come nel caso della Grossaktion iniziata il 22 luglio 1942 con le deportazioni di massa dal ghetto di Varsavia verso il campo di sterminio polacco di Treblinka – a questo il regime nazista era perversamente attento, tanto che diverse furono le deportazioni, le retate, gli eccidi di massa commessi in occasione di ricorrenze religiose ebraiche o dello Shabbat. La stessa Grossaktion si chiuse il 21 settembre, il giorno di Kippur. 
E così, come ricordato nella deposizione processuale di un converso citato da Sover (François Soyer, The Persecution of the Jews and Muslims of Portugal: King Manuel I and the end of Religious Tolerance (1496-7), Leiden: Brill, 2007, pp. 114-115) e nella seconda testimonianza sopra riportata dal cronachista e storico Josef HaCohen  nel suo Emeq HaBakha (Valle di lacrime), il Nove del Mese di Av segna anche la fine dell’ebraismo sefardita nella penisola iberica e, ricordiamo, nel nostro meridione italiano dove gli ebrei subirono la stessa sorte di conversioni forzate, distruzione di cimiteri, sinagoghe ed abitazioni, assassini di massa tra lo stesso luglio del 1492 e la metà del Cinquecento. Tra i pochi disposti ad accogliere e proteggere i fuggiaschi si distinse il sultano ottomano, diversamente da quanto avvenne quattrocento anni dopo, con il genocidio condotto dal governo dei Giovani Turchi ai danni della popolazione armena del morente impero ottomano. In questo Tisha BeAv di non digiuno puerperale vedo, nella caligine agostana, le immagini degli esuli ebrei in fuga dalla Spagna sovrapposte a quelle di donne e bambini armeni deportai a morire a piedi nel deserto siriano.

Sara Valentina Di Palma

(18 agosto 2016)