…acculturazione

Ricorre spesso il richiamo a combattere l’assimilazione come impegno prioritario per le attività organizzate dalle comunità ebraiche per le nuove generazioni. Credo sia giunto il momento di compiere una breve riflessione a proposito del concetto di assimilazione, anche per rendere più efficace un eventuale lavoro in questo senso. Sembra infatti che per assimilazione si voglia intendere una dinamica che allontana i giovani ebrei dalla propria identità originaria ebraica portandoli ad assumere comportamenti sociali e culturali secolarizzati o comunque lontani da questa identità. Da un punto di vista sociologico, tuttavia, questa analisi non può reggere. Manca infatti un presupposto fondamentale: non esiste oggi nella diaspora ebraica un ambiente puramente ebraico, nel quale nascono e vengono allevati giovani che a seguito di contatti con la società non ebraica si allontanerebbero prendendo strade differenti. Esisteva, forse (ma da storico avanzo più di una riserva), una situazione simile all’epoca dei ghetti, quando paradossalmente proprio le legislazioni non ebraiche di segregazione forzavano gli ebrei a vivere in ambienti sociali fortemente controllati e ristretti, seguendo delle dinamiche di formazione quasi completamente interne al mondo ebraico. Studi solo ebraici, apprendimento della lingua ebraica e di gerghi etnici (le lingue di cui si discuterà nella prossima giornata europea della cultura ebraica), ritualità religiosa solo ebraica, facevano delle comunità ebraiche dei sistemi chiusi. Chi se ne allontanava decideva di intraprendere un percorso di assimilazione.
Ma oggi (in Italia da oltre due secoli) la situazione di partenza non è questa. I giovani ebrei nella loro maggioranza ricevono un’educazione ebraica in famiglia, e si tratta di una dinamica che sul piano del peso culturale nella formazione è decisamente limitata: sono molto più numerose le ore di lezione a scuola, in materie secolari (anche nella scuola ebraica), per non parlare delle ore passate alla televisione o sui social media o comunque per strada, in un ambiente misto e non solo ebraico. In un contesto del genere, parlare di assimilazione sembra avere poco senso, ed è necessario identificare nuovi parametri culturali se si vuole lavorare a una salvaguardia e a un recupero delle tradizioni ebraiche per trasmetterle alle generazioni successive. Il concetto che mi sembra più adatto in questo senso è quello di “acculturazione”. Io stesso, che pure sono stato allevato in una famiglia di solide tradizioni ebraiche, posso dire di essermi costruito nel tempo una mia identità ebraica, in continua evoluzione. Certo, questa si fonda su un substrato di messaggi, suoni, sapori che la famiglia e la comunità mi hanno trasmesso. Ma il lavoro di studio e di radicamento l’ho compiuto io, per scelta. Sarà quindi necessario che siano prima di tutto gli educatori e i responsabili delle istituzioni ebraiche a cambiare la prospettiva con cui affrontano l’intera questione. Una prospettiva che non si ponga in atteggiamento conservativo (“difendiamo i nostri valori”) ma in senso più propositivo (“impariamo, studiamo le radici profonde della nostra tradizione e vediamo come ci possono essere utili e cosa ci insegnano per navigare in questo mondo complicato”). Cambiato l’atteggiamento – da difensivo a propositivo – si passerà a ideare nuove metodologie, per provare a dare risposte a chi, nonostante tutto, continua a porre domande.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

19 agosto 2016