Francia – Gli islamici e l’obbligo di fedeltà
Una proposta che fa discutere

Alain-Juppe_pics_809 “Alain Juppé vuole essere il Napoleone dei musulmani. Un incubo?”. Titola così una sua riflessione su Slate.fr Claude Askolovitch, giornalista e scrittore, ex direttore del giornale ebraico L’Arche, in cui esamina da un punto di vista storico alcune recenti affermazioni di Juppé, candidato alle primarie del centrodestra per le elezioni presidenziali del 2017. Al momento è dato per favorito, addirittura anche nella corsa alla presidenza (secondo i sondaggi potrebbe essere l’unico in grado di battere Marine Le Pen già al primo turno), e nel corso di un incontro svoltosi sabato a Chatou, nell’Île-de-France, ha fatto alcuni paragoni su cui Askolovitch apre ora un dibattito. In merito alla questione spinosa dei musulmani in Francia, Juppé ha infatti proposto un “accordo solenne tra la Repubblica e i rappresentanti del loro culto”, facendo riferimento al passato glorioso della Francia. “È arrivato il momento – le sue parole – di dare delle risposte precise alle domande che si pongono molti francesi. L’abbiamo fatto per gli ebrei all’inizio del XIX secolo su iniziativa di Napoleone. La Terza Repubblica l’ha fatto con la Chiesa cattolica all’inizio del XX secolo, non senza violenze. Dobbiamo farlo oggi con i francesi musulmani”.
Un’idea che Askolovitch giudica tuttavia problematica, e attraverso un’analisi storica di quella che fu la politica di Napoleone nei confronti degli ebrei, sottolinea come all’imperatore sia stato lungamente dato il merito delle virtù fondatrici dell’emancipazione, ma in realtà “questo episodio fu una violenza dello Stato nei confronti di cittadini francesi, nel nome dei peggiori pregiudizi dell’epoca, sotto la guida di un tiranno che li aveva fatti suoi, contro una minoranza che non poté preservare i suoi diritti se non attraverso un obbligo di fedeltà”.
Askolovitch parte da un’analisi dei fatti. Quello evocato da Juppé è l’episodio della convocazione da parte di Napoleone nel 1806 e 1807 di una “assemblea dei notabili ebrei” e in seguito di un “gran Sanhedrin” – in pratica, rappresentanti istituzionali e religiosi dell’ebraismo – perché rinnovassero la fedeltà alla Francia. L’organizzazione del culto attraverso l’invenzione dell’organo ancora esistente del Consistoire fu una conseguenza di questa iniziativa, ma il tempo ne ha un po’ alterato i risvolti. “La storia si è perduta in un limbo – scrive – e non resta che un’immagine della propaganda bonapartista: ‘Napoleone ristabilì il culto ebraico’”.
In verità, prosegue il giornalista, tutto questo fu il risultato del pregiudizio antiebraico di Napoleone stesso, che terrorizzato che gli ebrei potessero governare la Francia, decise di risolvere la questione. Così i notabili ebrei selezionati dai prefetti furono convocati non al fine di creare un dialogo ma di “disciplinare un popolo che si credeva dissidente, in un misto tra benevolo ricatto e ostilità proclamata”.
“Gli ebrei non sono della stessa categoria di cattolici e protestanti – aveva affermato l’Imperatore di fronte al Consiglio di Stato nel 1806 – e dobbiamo giudicarli dal punto di vista del diritto politico, e non del diritto civile, dal momento che non sono cittadini”. E di qui la redenzione: Napoleone mandò a dire a quei notabili ebrei che “l’Imperatore vuole che siate francesi”. Peccato che lo fossero già dal 1791, come aveva voluto l’assemblea costituente. “È crudele – commenta Askolovitch – francesi e cittadini lo sono, lo Stato revoca loro questo diritto, su pretesto della loro cattiva reputazione”.
Alimentanto il suo pregiudizio con le tesi antiebraiche che circolavano all’epoca, Napoleone si convinse sempre di più della necessità di vietare agli ebrei il commercio e le loro pratiche rituali, fino addiritura all’intero AKG355664culto. Alla fine – spiega Askolovitch – le minacce furono più grandi di quello che poi mise in pratica, e si risolse semplicemente come soluzione a tutti i problemi a “riformare” gli ebrei, considerati “cavallette che invadono la Francia” che tuttavia l’imperatore avrebbe potuto rieducare. E fu questa secondo lui la spinta dietro la convocazione di quell’assemblea di notabili, guidati dal banchiere Abraham Furtado, e di rabbini, guidati da David Sintzheim, a cui Bonaparte volle fare “le domande che tutto il poplo francese si poneva”. Gli ebrei possono sposare più donne? Divorziare? Sposarsi con dei cristiani? Vedono i loro concittadini come fratelli o come stranieri? E la Francia come loro patria? La tragedia fu così evitata, gli ebrei restarono i cittadini che del resto già erano, perché, si dissero, per la libertà potevano anche aconsentire a cantare la gloria dell’imperatore nelle loro sinagoghe e a qualche piccola restrizione. “Le umiliazioni si sarebbero diluite nel tempo – scrive Askolovitch – si sarebbe scordata la violenza napoloenica per preferire la leggenda, e poi sarebbe tornata la verità”.
Tutto questo – aggiunge il giornalista – è però quello che oggi guida anche Juppé nella sua proposta ai musulmani. Ma a quali domande “che tutto il poplo francese si pone” dovrebbero oggi rispondere? Askolovitch ne immagina un inventario: volete ucciderci? La legge islamica obbliga i suoi fedeli alla pratica del terrore? Permette di uccidere un prete? E le donne islamiche vanno in spiaggia completamente coperte per imporre a tutti noi la loro usanza? Per lui “era nel nome del pregiudizio e dell’odio dell’epoca che Napoleone convocava Furtado e Sintzheim, ed è nel nome della malattia del nostro tempo che immaginiamo domani di interrogare ‘i musulmani’ prima di ‘firmare un patto solenne’, chiedendo loro di difendere la patria”. Tutto questo era secondo lui “tollerabile all’epoca, o diciamo possibile, perché non si scendeva a patti con l’imperatore, e l’aspirazione alla libertà era per gli ebrei superiore all’orgoglio ferito. Ma com’è possibile – si chiede – in una Repubblica, avvilita da discorsi fatti in suo nome?”.
“I francesi musulmani sono francesi, come lo erano gli ebrei francesi del 1806, e non da quindici anni come in quei tempi in cui il diritto ancora balbettava. Semplicemente, lo sono”, sottolinea quindi Askolovitch. “Convocarli, attraverso un’assemblea di presunti delegati, significa sospendere la loro cittadinanza per una verifica, quale che sia il suo travestimento. Si presuppone, facendolo, che questi compatrioti non siano francesi che in apparenza. Li si denaturalizza semanticamente, politicamente, moralmente con delle nobili intenzioni. Si parla la lingua dell’estrema destra – il suo attacco conclusivo – quella che stigmatizza i ‘francesi di carta’, con le parole ampollose dei Repubblicani”.

Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked

(Nelle immagini, sopra Alain Juppé, sotto una rappresentazione della riabilitazione dell’ebraismo da parte di Napoleone)

(31 agosto 2016)