Qui Ferrara – Libro ebraico in festa
Premio Pardes tra storia,
rassegne culturali e poesia
Dal cortile del Meis, ora cantiere in cui si lavora freneticamente per permettere al Museo dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (Meis) di aprire nel 2017, l’edizione 2016 del Premio Pardes di cultura ebraica si è spostata quest’anno nel giardino del Palazzo Roverella, un tempo intitolato al suo primo proprietario, Federico Zamorani, costretto a vendere il palazzo per non consegnarlo al regime fascista. Introdotto dal direttore della Fondazione Meis Dario Disegni, il presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte e Valle d’Aosta, Alberto Sinigaglia, ha tracciato un ritratto dei premiati Riccardo Calimani, cui è andato il premio per la saggistica, Ernesto Ferrero premio alla carriera ed Emilio Jona, premio per la letteratura.
Riccardo Calimani, che ha ricevuto il premio dalle mani di colui che gli è succeduto alla presidenza della Fondazione Meis, è stato descritto da Sinigaglia come personaggio scomodo, che ha dovuto schivare frecce d’invidia per le sue poderose ricerche e per il loro successo, oltre che appartenente a numerose categorie “molto decadute e malviste”: giornalista, con un passato in Rai, scrittore e saggista-divulgatore. Nel prendere dalle mani di Dario Disegni il premio ha voluto ricordare l’origine della parola ebraica pardes – nome del premio – che viene dal persiano e da cui deriva “paradiso”. “Già presente nella Bibbia – ha spiegato – non è solo un giardino paradiso, ma si riferisce a un’idea più sottile che illumina questo premio e il museo che spero di visitare a uno stadio avanzato il più presto possibile. Acronimo di quattro metodi analitici, ricorda l’interpretazione della Torah in senso piano, letterale, ma anche come accenno, interpretazione allegorica secondo la quale il testo allude a qualcos’altro, come interpretazione metaforica e come segreto, misticismo”. Il premio alla carriera è andato a Ernesto Ferrero, ricordato da Sinigaglia non solo come autore di pagine memorabili, ma come persona che “ha trovato il tempo di dilettarsi di libri altrui. A tal punto da farne una fiera, anzi, la fiera per eccellenza”. Il Salone del Libro di Torino, di cui Ferrero ha pilotato la rinascita è “manifestazione internazionale, un modello da copiare e da rubare” nonostante si tratti di una manifestazione culturale – ha attaccato Sinigaglia – “cosa considerata assai sconveniente da certi sindaci, persino dagli stessi assessori del ramo”, progetto portato avanti “non con bancarelle di salami, sebbene cominciassero ad andare di moda, ma con appuntamenti culturali”. E Ferrero ha ringraziato ricordando come il fascismo sia stato sempre per lui una vergogna che lo riguarda personalmente, di cui in qualche modo portare la colpa, anche per le frequentazioni familiari, in cui gli amici dei suoi genitori portavano praticamente tutti i cognomi più noti dell’ebraismo piemontese. Una vergogna di cui doversi giustificare, anche per l’adesione quasi totale degli italiani a un regime grottesco, una vergogna “che temo si rinnovi, ancor più oggi, un periodo in cui ampi strati della popolazione mondiale si trovano a ragionare con la pancia”. Per Emilio Jona, premio per la letteratura, “avvocato come Paolo Conte, e come lui poeta e musicista, ha scritto canzoni e libretti d’opera, scoperto e salvato tesori di cultura, musica, espressività popolare urbana e contadina. Fondatore delle Cantacronache, avventura politico-musicale, ha inciso dischi, pubblicato saggi, scritto testi radiofonici e teatrali, romanzi, racconti, raccolte di versi”. Jona, nel ricevere il premio, ha voluto ricordare che “i profeti portano male”, per proseguire citando qualche verso da “Trieste e una donna”, di Saba, prima di raccontare le motivazioni che lo hanno spinto a scrivere Il celeste scolaro (Neri Pozza), la storia dolorosa che ha come protagonisti il bellissimo e precoce poeta quindicenne Federico Almansi e appunto Umberto Saba, che lo stima e lo ama, ed Emanuele, padre del giovane poeta, libraio antiquario che quando scopre la schizofrenia del figlio cerca di ucciderlo e di uccidersi, invano.
a.t. twitter @atrevesmoked
(5 settembre 2016)