Torino, gli applausi a Batsheva mettono a tacere i provocatori
La scelta intelligente e coraggiosa della Direzione Artistica del Festival Torino Danza, inauguratosi ieri sera a Torino con lo spettacolo TRE della Batsheva Dance Company e la coreografia dell’eccellente Ohad Naharin, è stata una scelta assolutamente vincente.
Folla enorme, successo non certo programmabile, lunghe code (tra uno schieramento non indifferente di poliziotti) di spettatori all’ingresso e alle biglietterie del Teatro Regio e tutto esaurito in sala, con una lunga lista d’attesa di tanti interessati a godersi la danza della celeberrima Compagnia israeliana di danza contemporanea, fondata nel 1964 da Marta Graham e dalla baronessa Batsheva De Rothschild.
Questo, a dispetto dei, pochi, contestatori del Boycott Israel (e come scritto negli striscioni fuori dal Teatro, del Boycott Batsheva) che hanno tentato di inscenare una protesta anche in sala, pochi attimi prima dell’inizio dello spettacolo, ma sono stati subito allontanati dal servizio d’ordine appena tre o quattro di loro hanno tirato fuori una bandiera arrotolata della Palestina e hanno iniziato a gridare contro il “balletto sionista”.
A quel punto la meravigliosa danza ha potuto avere inizio.
Perché scelta intelligente? perché come scriveva Gigi Cristoforetti, Direttore Artistico del TorinoDanza Festival, nella presentazione del programma 2016, intitolato “Emozioni e sensibilità diverse”: Come un essere vivente, un festival è ricco di segni stratificati, che rimandano a tempi, a situazioni, a emozioni e ricordi. Guardando all’edizione 2016 troviamo tanti racconti possibili, che si intrecciano alla nostra vita sociale e ai nostri sentimenti personali. E toccano diverse sensibilità.. Inauguriamo con la compagnia israeliana Batsheva, e sotto quel nitore straordinario, quel dinamismo scatenato, c’è sospesa la storia di un conflitto lacerante, imperscrutabile quanto mille altri di oggi, ma capace di assurgere a dimensione emblematica. Quella lancinante bellezza estetica è una risposta d’artista alle contraddizioni di un pezzo di mondo straziato da dolori politici, umani, sociali. E per certi versi vicino a noi, più di quanto pensiamo”.
Ma, al tempo stesso, si è trattato comunque di scelta coraggiosa, perché, per citare ancora la presentazione: “Ci saranno ancora davanti al teatro – come nel 2012 – le urla e la rabbia di chi pensa che l’arte non possa insegnarci la convivenza, ma che debba essere al servizio di un’ideologia? Ciascuno la pensi come vuole, noi siamo convinti che una coreografia, meravigliosa, abbia a che fare con il nostro lato migliore, e che – nell’ambito della libertà di espressione – l’arte abbia un posto speciale”.
Il pubblico entusiasta (tra gli altri in sala, il neo assessore alla Cultura del Comune di Torino, Francesca Leon, coreografi di fama come Susanna Egri e Loredana Furno, il vicepresidente UCEI Giulio Disegni, il presidente della Comunità ebraica di Torino Dario Disegni) ha potuto così apprezzare “corpi che si muovono con la precisione delle spade dei samurai: gambe, braccia e schiene, si stendono e flettono creando forme nello stesso istante in cui le distruggono”, come sottolinea la scheda dello spettacolo.
Ed è in realtà così. L’eccellente coreografia di Ohad Naharin – nato nel Kibbutz di Mizra e invitato per il suo talento già nel suo primo anno nella Batsheva dalla grande coreografa Marta Graham, durante una visita in Israele, a unirsi alla sua Compagnia a New York e a frequentare la School of American Ballet – punta alla qualità del movimento per esprimere valori ed emozioni che diventano null’altro che bellezza. Bellezza che si snoda durante tutta la performance attraverso gesti tersi e precisi, duetti interrotti, che esprimono gioia, paura, speranza, rabbia, dolore, mai senza esagerazione e sempre con estrema delicatezza.
Non bisogna del resto dimenticare che Naharin è stato il creatore del linguaggio di movimento, assolutamente innovativo, il Gaga, che ha trovato applicazioni non solo nella danza.
Geniale e anticonformista poi la scelta del coreografo, decisa quasi all’ultimo minuto, per contrastare e assecondare allo stesso tempo la richiesta del compositore britannico Brian Eno, che in una lettera alla Compagnia si è detto lusingato della scelta di un suo brano per uno dei pezzi scelti per lo spettacolo, ma, come sostenitore di Bds, ha negato l’autorizzazione ad utilizzare la sua musica, in quanto “il governo israeliano utilizza l’arte per promuovere il Brand Israele e distogliere l’attenzione dall’occupazione delle terre palestinesi”. Amareggiato dall’assurda richiesta, ma per nulla “sconfitto”, Naharin ha eliminato la musica di Eno e ha fatto ballare comunque i danzatori, dopo aver annunciato la decisione con sottile ironia, da un componente del gruppo che parlava da un televisore.
Il pubblico, letteralmente rapito dalla bellezza della danza e dalla bravura della Batsheva Dance Company, ha applaudito a lungo durante e alla fine dello spettacolo, a sottolineare che non è certo con il boicottaggio dell’arte che si risolve il conflitto.
Federico Disegni
(Foto in alto di Gadi Dagon – Foto in basso di Federico Disegni)
(7 settembre 2016)