Milano – Rav Arbib: “Siamo responsabili
di quello che comunichiamo”

arbib“Il potere della parola nella tradizione ebraica è considerato fondamentale per comunicare, per costruire rapporti umani, per comprendere ma anche pericoloso. La parola può infatti essere distruttiva, può manipolare la realtà, può addirittura uccidere, ci dice un passo del Talmud. Per questo dobbiamo fare attenzione”. A sottolinearlo a Pagine Ebraiche, rav Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano, il cui intervento il 18 settembre apre la Giornata della Cultura ebraica dedicata alla Lingua e i linguaggi. A Milano, città capofila, il tema è stato declinato in una variante diversa, incentrandosi sul potere della parola e su questo riflette, parlando con Italia Ebraica, il rav Arbib. “Quando facciamo riferimento alla parola – continua il rav – parliamo di un elemento tanto chiave nella nostra identità che ad esempio nella traduzione in aramaico del passaggio di Bereshit in cui D-o crea l’uomo (nefesh chajà, spirito vivente), Onkelos (considerato l’autore del famoso e omonimo Targum Onkelos) lo riporta come ‘ruach memallelà’, essere parlante. La parola quindi è l’essenza stessa del uomo e per questo è pericoloso usarla in modo sbagliato, quanto nobile usarla nel modo corretto”.
Su un altro fronte poi il rav ricorda come gli ebrei “hanno sempre vissuto a contatto con mondi diversi, con la costante necessità di rapportarsi a questi ultimi e a comunicare con loro. In particolare la lingua è un elemento fondamentale per la trasmissione della cultura ebraica sia all’interno sia all’esterno: è potente quanto problematico come ci ricorda il passo del Talmud in cui si parla della miracolosa traduzione in greco della Torah da parte dei 72 anziani”. Il riferimento è all’ordine dato dal re Tolomeo filadelfo, nel secondo secolo a.e.v, a 72 Maestri ebrei di preparare una traduzione greca della Torah, quella che diventerà la famosa traduzione dei Settanta. I 72 Saggi, isolati da Tolomeo, pur non potendo consultarsi tra loro, tradussero la Torah allo stesso modo e apportarono al testo 15 correzioni identiche al fine di evitare interpretazioni devianti. “Anche se miracolosa, quella traduzione – sottolinea Arbib – è considerata problematica. Perché qualsiasi adattamento alla cultura, anche linguistico, che apportiamo rischia di cadere nella falsificazione, nel gioco di parole tra tradurre e tradire. Quando comunichiamo, quando usiamo le parole, dobbiamo viaggiare attraverso questi due poli, ricordandoci di tradurre all’esterno nel miglior modo possibile senza tradire”.

d.r. @dreichelmoked