ORIZZONTI Libeskind: Ground Zero 15 anni dopo «Dove c’era il vuoto trionfa la vita»

«L’alternativa vivente» al terrorismo, alla violenza, all’intolleranza «è ancora una volta New York». Daniel Libeskind vive a pochi isolati dal nuovo One World Trade Center, sorto, così come lo aveva progettato, sull’area distrutta dagli attentati dell’11 settembre 2001.
Libeskind, 70 anni, super star dell’architettura mondiale, nato in Polonia, cittadino americano, osserva da una finestra la città rinata sul Ground Zero: la Freedom Tower, 541 metri, 1776 piedi: un numero che richiama l’anno della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America; l’Oculus, la stazione disegnata da Santiago Calatrava riprendendo la forma a lisca delle rovine; il museo del Memoriale che racconta le ore della catastrofe e i giorni della ricostruzione; le due grandi vasche nei crateri dove si sbriciolarono le Torri Gemelle.
«Abbiamo recuperato un’area che è più grande del centro di città come Baltimora o Filadelfia. Abbiamo restituito il cuore a New York, agli Stati Uniti e al mondo intero».

Quindici anni fa non era scontato che accadesse. E anche il suo piano, avviato nel 2004, è stato oggetto di tante critiche. C’era chi voleva ricostruire tutto come prima, chi pensava fosse meglio mantenere uno spazio vuoto per ricordare…
«Sì ci sono state molte discussioni sul mio progetto. Ma oggi siamo nelle condizioni di vedere i risultati, di cogliere questa incredibile trasformazione. Ogni elemento del masterplan è stato realizzato. La mia idea era di trasformare l’evento più triste nella storia recente degli Stati Uniti nella più spettacolare vittoria della vita. E’ così è accaduto. Qui sono tornate o arrivate circa 200 mila persone. Ground zero è tornato un posto dove si viene per lavorare, per spostarsi, per passare il tempo libero. In una parola per vivere».

Il 15° anniversario dell’11 settembre cade nel mezzo di una campagna elettorale segnata dal tema dell’immigrazione. Una parte dell’opinione pubblica segue Trump e diffida dei musulmani.
«Ci sono correnti estreme che stanno attraversando l’Europa e gli Stati Uniti. Ma il messaggio che New York ha confermato anno dopo anno, anniversario dopo anniversario è molto chiaro: America significa libertà, democrazia, pluralismo. Qui nel nuovo World Trade Center questi concetti acquisiscono una potente materialità. Guardate la Freedom Tower: tutto, i pieni e i vuoti, comunicano tolleranza, rispetto gli uni degli altri. Un disegno, un modello di civiltà che verrà presto completato con l’ultimo tassello: il Pereleman Center, centro culturale che avrà un presidente d’eccezione: Barbra Streisand».

Nel 2001 Ground Zero sembrava il simbolo della sconfitta dell’Occidente, oggi si candida a diventare il luogo da cui riaffermare una leadership mondiale. E’ questo che pensa?
«Sì, esattamente questo. Non esiste al mondo un luogo più carico di simboli e di realizzazioni pratiche, concrete di questo. Alla fine i newyorkesi sono riusciti a tenere insieme la memoria, il sentimento di profondo dolore, il rispetto per le vittime dell’11 settembre, senza rinunciare al loro vibrante vitalismo, alla loro costante proiezione nel futuro. La prova migliore, forse, è che 15 anni fa questa era la parte della città consacrata solo alla finanza, al lavoro. La sera si spopolava. Adesso è viva in ogni ora della giornata, è frequentata da moltissimi giovani. E’ il posto più eccitante della città, ma io dico del mondo intero. Anche il turista più distratto non può sfuggire a questa sensazione».

Anche l’America è attraversata dalla paura di nuovi attacchi terroristici. La domanda è antipatica, ma inevitabile: come si concilia la sicurezza con uno schema così aperto come è il suo progetto?
«E’ una domanda che ci siamo posti seriamente fin dall’inizio. Abbiamo scelto una soluzione che fosse la più efficace e la meno visibile. La gestione degli edifici garantisce la sicurezza dell’area, senza trasmettere l’impressione di entrare in una zona blindata. Io penso che si possa fare».

Giuseppe Sarcina, Corriere della Sera, 11 settembre 2016