La lingua è identità

Prima di introdurre questa giornata e il suo tema sento il dovere di ricordare il Presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che ci ha appena lasciati pochi giorni fa. Uomo generoso, giusto e lungimirante che ha dato alla sua vita e al suo impegno, nelle molteplici situazioni e istituzioni che ha guidato, un’impronta ben definita nella difesa dei valori fondamentali. Che sia benedetto il suo ricordo.
È un grande piacere inaugurare assieme a voi tutti la diciassettesima edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, qui a Milano, città capofila in Italia, dove diamo il “via” simbolico alla manifestazione.
Vi saluto sentitamente, a nome di tutte le Comunità ebraiche italiane e del Consiglio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, per essere qui oggi, in questa storica e importante Sinagoga.
Vi ringrazio per l’affettuoso abbraccio della vostra presenza, che è ormai un’affermata consuetudine nelle nostre Sinagoghe e nelle nostre Comunità.
La Comunità di Milano quest’anno celebra i centocinquant’anni dalla nascita, e ricorrono inoltre i sessant’anni di vita del CDEC, il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea. Quale occasione migliore, dunque, per festeggiare questi anniversari, che porre Milano al centro delle manifestazioni in Italia?
Oggi, in settantaquattro località in tutto il Paese, migliaia di persone si recheranno in un Tempio ebraico, visiteranno un Museo, ascolteranno una lezione sulle nostre tradizioni o assaggeranno un piatto della tradizione ebraica. In altre parole: scopriranno, o avranno l’occasione di approfondire, anche solo per poche ore, alcuni aspetti della vita e della nostra cultura – i luoghi e perché delle nostre lingue.
Un’azione semplice, come una passeggiata culturale o una visita guidata, diventa così un momento di incontro, di dialogo e di positivo confronto.
Anche per la vicinanza alla festività di Rosh Hashanà – il Capodanno ebraico – momento di profonda riflessione sulla nostra esistenza come singoli e come popolo, questo avvenimento è veramente il punto centrale intorno al quale riflettere sul nostro legame e contributo valoriale alla società italiana di cui siamo parte da millenni.
Questo legame tra popolo e territorio – tra di noi e con gli altri – lo studieremo e lo vivremo, nell’arco di questa giornata, attraverso una riflessione sulle parole – sui perché e i come delle lingue parallele all’ebraico che si sono affermate o sbiadite – sul modo in cui oggi traduciamo, comunichiamo e tramandiamo la nostra esistenza. Sul modo in cui oggi dialoghiamo e affrontiamo il tema dell’odio diffuso attraverso la parola scritta e lanciata alla propagazione dello stesso tramite la rete.
Dall’ebraico biblico, alle preghiere e alla lingua moderna e vibrante, dai dialetti e le lingue che hanno animato, e tutt’ora caratterizzano le nostre comunità, nella vita quotidiana nella letteratura e nel teatro. La lingua è anzitutto identità. È anzitutto identificazione.
Vengono in mente le parole di Chava Alberstein, la grande cantante israeliana, in una bella e famosa sua canzone:
“Le parole sono tutto ciò che ho / sono la mia ricchezza, la mia forza, sono me stesso. / E non voglio corrompere le mie parole, perché diverrebbero vane”.
Due parole in ebraico sono identitarie e forti – una quotidiana e al contempo remota: Shalom, dovrebbe appartenere all’umanità intera; una minuscola – composta di due yod alternate a due he – il nome impronunciabile di D-O – che invece rappresenta l’immensità divina. Intima e riservata alla preghiera ebraica.
Due parole che sono l’usa l’esplicazione dell’altra.
Il tema dell’edizione di quest’anno, “Le Lingue ebraiche”, è stimolante e significativo perché fornisce lo spunto per parlare delle molteplici interazioni che hanno caratterizzato l’ebraismo nei secoli, nelle diverse aree e città, cullando e coltivando i più fondamentali valori ebraici. Un caleidoscopio di lingue e dialetti che nati come forme lessicali per necessità di difesa e di comunicazione intracomunitaria si sono sviluppati in ricchi e fantastici linguaggi letterari e teatrali che li hanno resi universalmente condivisi. Lingue e linguaggi che sono espressione del particolare legame che unisce lo scritto e il parlato, il custodito e il tramandato.
È difficile immaginare un popolo cosi antico, ancora vivente e vibrante, in cui siano presenti tante diversità culturali – tra cui quella linguistica – quanto il popolo ebraico. Ricordo solo alcune – aramaico, yiddish, ladino, giudaico romanesco, bagitto, Un popolo al contempo unito dalla comune adesione a un Testo – la Torà: aspetto, questo, che restituisce tutta la centralità delle Parole nell’identità ebraica.
Un popolo unito da una storia e una lingua comune, che ha conosciuto, e tutt’ora subisce, in Israele e nella Diaspora, il brutale impatto delle lingue dell’odio.
L’identità ebraica si è sviluppata e plasmata in secoli di storia, e nell’utilizzo di molte diverse lingue oltre all’ebraico, la Lingua Sacra con la quale è scritta la Torah. Gli ebrei infatti convivono da millenni insieme agli altri popoli, in Terra d’Israele e in una Diaspora che è stata ed è tutt’oggi una realtà estremamente viva; una Diaspora in cui gli ebrei hanno scambiato elementi e peculiarità con le società circostanti, rimanendone influenzati in modo profondissimo, ma al contempo salvaguardando la loro identità.
Per gli stranieri che da altri continenti vengono in Occidente si dovrà favorire, tra l’altro, un percorso linguistico – non per chiedere loro di negare la cultura di origine, ma per arricchirla e svilupparla.
Questo perché la conoscenza della lingua di un luogo condiziona orientamenti cognitivi e riferimenti etici. Perché genera identificazione.
Se questa capacità di integrazione e al contempo di salvaguardia delle nostre identità religiose e culturali, diverrà patrimonio e approccio comune, allora sì che vi sarà dialogo;
Se riusciremo ad esprimere e difendere, pur in lingue diverse, gli stessi valori e un inno alla vita;
Allora sì che la parola Shalom potrà avere un significato universale. Allora sì che il nome di D-O, sarà pronunciato ed evocato con profondo rispetto dell’intera umanità.
E allora, per l’anno nuovo, quasi alle porte – l’anno 5777 – l’augurio che sia una Shanà Tovà, e ancor più di quella appena passata.

Grazie.

Noemi Di Segni, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

(Intervento tenuto a Milano in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica)

(18 settembre 2016)