…universalismo

A dispetto del pregiudizio antisemita, che contrappone in maniera del tutto abusiva l’idea di elezione di Israele al concetto di universalismo, proprio l’universalismo è uno dei concetti fondativi della tradizione ebraica. Popolo diasporico per eccellenza – migrante si direbbe oggi – gli ebrei hanno fatto del loro cosmopolitismo, della capacità di adattamento, dell’uso di un continuo multilinguismo e multiculturalismo, una delle chiavi che hanno permesso di sviluppare strategie di sopravvivenza necessarie certamente, ma probabilmente anche fortemente ricercate e volute. Lo stesso ebraismo israeliano è nei fatti costituito da un sovrapporsi di diaspore che sul piano antropologico e culturale sono spesso difficilmente superabili, nonostante le numerose strategie tentate da diverse ideologie politiche che nel tempo hanno provato in vario modo a proporre forme di omologazione nazionale. L’universalismo è per me la capacità di considerare l’altro come parte integrante e necessaria della propria identità; ed è anche l’idea che la mia essenza (culturale, religiosa, di genere) è a sua volta necessaria agli altri per riconoscersi nella loro umanità. Il Giardino dei Giusti di Yad Vashem (e gli altri che sono nati nel mondo su quell’esempio) è forse il simbolo di questo universalismo: un tributo naturalistico e concettuale in un luogo così simbolico come Gerusalemme, dove gli ebrei riconoscono negli altri, nei “salvatori” non ebrei, il ruolo di salvatori dell’intera umanità. Ora, non riesco proprio a comprendere come non ci si renda conto di quanto forte sia questo messaggio, di quanto carico di speranze e prospettive pacificatrici esso sia; e di come sia possibile che nella stessa città vengano attivate (e si tratta ahimé di un’esperienza che coinvolge un po’ tutti i gruppi religiosi) e fomentate esperienze di separazione, di odio e di appropriazione esclusivista, che fanno a pugni con l’idea di universalismo. Il Muro occidentale, il Monte del Tempio, le Moschee di Al-Aqsa e di Omar, sono monumenti, luoghi di preghiera simbolici e beni culturali che appartengono per statuto all’Umanità in quanto tale. Farne il terreno di uno scontro politico significa fare a pezzi il concetto stesso di universalismo, e riconoscere nel conflitto il solo strumento di confronto fra umani.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

(28 ottobre 2016)