Qui Torino – Storia di un amico ebreo

20161103_212622“Dalle vecchie foto in bianco e nero, dalle lettere ingiallite vergate con l’ elegante calligrafia di chi è nato nella prima metà del secolo scorso, spunta una storia di solidarietà, di coraggio e di lealtà […] Una storia che ha protagonisti noti: il poeta Gian Piero Bona e suo padre, l’industriale Lorenzo Valerio Bona da un lato, e dall’altro Sergio Hutter Jontof, il notissimo e geniale architetto torinese scomparso nel 1999 dopo aver progettato lo Stadio delle Alpi e tante altre opere moderne e innovative”. Così scriveva nel 2006 la giornalista Vera Schiavazzi, raccontando la storia de L’architetto e lo Schindler torinese (titolo dell’articolo): storia che oggi torna ad essere raccontata in L’amico ebreo (Ponte alle Grazie, Firenze 2016), ultima opera letteraria di Gian Piero Bona, presentato dall’autore nelle sale della Comunità ebraica di Torino. A dialogare con Bona, il presidente della Comunità torinese Dario Disegni, Giacomo Jori, docente presso l’Università della Svizzera Italiana e Lucio Monaco, vicepresidente A.N.E.D., sezione Torino.
“L’amico ebreo” è un testo tra romanzo e autobiografia che racconta la nascita e l’evoluzione di una profonda amicizia tra due adolescenti negli anni a cavallo tra il 1942 e il 1945 in una villa a Carignano, dove la famiglia dello scrittore, in particolare il padre Lorenzo Bona, aveva deciso di essere dalla parte dei giusti, non per gloria, ma per umanità e profondo rispetto per la vita. Aveva deciso infatti di salvare la vita di un giovane ebreo di origine russa, Sergej, accogliendolo in casa propria sotto le mentite spoglie di cugino di famiglia. Stratagemma che lo mise al riparo dalle insistenti attenzioni del comandante locale delle SS, Richtel, personaggio grottesco e imprevedibile che dopo l’8 settembre decise di installarsi proprio nella villa dei Bona. Il contatto quotidiano con l’aguzzino e il pericolo favoriscono l’instaurarsi di un profondo senso di comunanza tra Sergej e Gian Piero.
L’autore di questo “romanzo” si trova così imbrigliato nel tema del doppio, non solo per lo sviluppo del rapporto tra i due protagonisti, (di cui uno è proprio lui), ma anche per il ruolo che riveste in quanto scrittore da un lato e testimone dall’altro. Alla memoria spetta il compito di tessere la tale tra le due posizioni, tra il tempo in cui le vicende si sono svolte e il tempo in cui sono state trascritte su carta.
Jori sottolinea l’importanza del libro per la sua qualità linguistica. “Le opere d’arte in letteratura si fanno con le parole”. Poi ricorda il Gian Piero poeta, esperienza letteraria che incide sulla sua scrittura, tanto da fare di “Un amico ebreo”, un’opera scritta in sequenze di versi, quasi una prosa poetica. “L’amico ebreo”, prosegue Jori, “è da collocare tra quei libri che hanno raccontato la guerra dalla parte non eroica, di chi ha vissuto in modo straniato e ai margini”. Centralità assoluta è data al tema del doppio, dove Gian Piero e Sergej sono opposti e complementari: “Il destino mi aveva mandato il vero amico “, “Servire la libertà totale di un altro “, “Eravamo diventati fratelli di un viaggio”. Infine c’è il riferimento al titolo stesso, che richiama la metafora del rapporto tra cristiani ed ebrei ,tra l’io e l’altro. La riflessione sul tema del doppio continua anche nell’intervento di Lucio Monaco. La peculiarità di questo libro risiede nella sua quasi unicità nel proporre il tema del doppio collegandolo al tema Shoah. Altro nodo, o meglio interrogativo che ha incuriosito Monaco è quanto l’opera sia una storia vera e quindi testimonianza e quanto invece vada sotto l’etichetta di romanzo. “Se una storia è vera come fa ad essere un romanzo?”, si chiede. Primo esempio di tale mistura lo si ha ne “La tregua” di Levi. Il presidente Dario Disegni ha invece specificato la valenza storica e umana della vicenda che si cela tra le pagine del libro. “La comunità ebraica deve onorare un debito, un debito di consapevolezza e lo vuol fare con un riconoscimento importante. Come recita la dedica del libro “A mio padre, uno tra i giusti”, la Comunità conferirà il prossimo 27 gennaio un riconoscimento importante al padre dell’autore, alla sua memoria e al suo ruolo di Giusto e lo farà tramite il figlio Gian Piero”. È Bona stesso infine a prendere la parola e lo fa in versi, citando una sua poesia presa dalla raccolta “Lontananze”, un sorta di risposta a quel pesante interrogativo retorico che Theodor Adorno si pose nel 1966: è ancora possibile fare poesia dopo la Shoah? Bona risponde: “Anche dopo Auschwitz [se vogliamo] / possiamo […] dal fondo dell’abisso risalire in ginocchio al cospetto di un’arte e volare [se vogliamo]”.

Alice Fubini