Torino – Storia della psiconalisi italiana
Una scuola dall’impronta ebraica

psicoanalisi torinoLa psicoanalisi italiana, le origini ebraiche e il rapporto con l’alterità. Potrebbe essere sintetizzata così l’intensa mattinata di studi che ha coinvolto diversi esponenti del mondo psicoanalitico italiano, riuniti nei locali della Comunità Ebraica di Torino per l’iniziativa promossa dalla Comunità assieme all’Associazione medica ebraica. Un vero e proprio “Reading Italian Psychoanalysis” con tre relatori di eccellenza, introdotti dalla dottoressa Bianca Bassi: Franco Borgogno, psicoanalista e fondatore della Scuola di Specializzazione di psicologia clinica a Torino, nonché vincitore nel 2010 del prestigioso Mary Sigourney Award; Rita Corsa, Medico psichiatra e Anna Ferruta, psicoanalista.
Al centro il tema dell’alterità. “Cos’è la psicoanalisi se non un approccio scientifico che ha come fine capire la lingua dell’altro?”, la domanda retorica con cui Borgogno ha aperto l’incontro. Prerogativa dello psicoanalista è capire la lingua del paziente. Il concetto di alterità come valore aggiunto, lo ritroviamo come caratteristica propria ed esclusiva dell’approccio italiano al mondo della psicoanalisi, tanto da contraddistinguere la Scuola Psicoanalitica della penisola dalle altre, in particolare da quelle anglo-americane. “Ancora negli anni 2000 – ricorda Borgogno – negli ambienti americani si percepiva una strana curiosità rispetto al nostro approccio metodologico, la psicoanalisi italiana era vista come intrigante, legata all’insolita intimità del nostro linguaggio, all’accostamento coraggioso di termini e teorie assai diversi tra loro”. Altro elemento: il mondo ebraico e il rapporto con la disciplina. Da una parte le origini della psicoanalisi italiana coincidono con alcuni esponenti della cultura ebraica. In particolare nella fase embrionale di questa disciplina si può individuare un duopolio: a Trieste ritroviamo i coniugi Edoardo e Vanda Weiss, a Venezia Cesare Musatti. Dall’altra ci si sofferma su alcuni innovativi approcci metodologici che in qualche modo hanno segnato gli sviluppi della giovane disciplina, sempre in riferimento a personalità del mondo ebraico.
Principale caratteristica della psicoanalisi italiana è l’apertura alla diversità, alle altre tradizioni metodologiche, mettendo insieme indirizzi e tendenze eterogenee della psicoanalisi.
“Come si manifesta questa apertura?- spiega Borgogno – Nella capacità di combinare i pensieri in modo insolito”. “Da dove deriva questa tendenza tutta italiana? – continua – Dall’isolamento linguistico che per molto tempo non garantiva o meglio non permetteva l’accesso ai congressi e la possibilità di pubblicazioni su riviste internazionali”. Oltre a questo elemento strettamente linguistico, va tenuto conto dell’evoluzione della storia e in particolare della parabola del fascismo, che ha bloccato la neo nata psicoanalisi per più di vent’anni.
La maturazione della psicoanalisi italiana è avvenuta solo alla fine degli anni Novanta, quando il contesto internazionale si è fatto più democratico e capace davvero di comprendere le lingue altrui, assimilando la non cultura linguistica italiana. “Per molto tempo questo ci ha resi dei meticci impresentabili per poi invece emergere”, conclude Borgogno.
Il racconto della storia della psicoanalisi italiana è affidato a Rita Corsa che spiega come le origini della disciplina siano legate alla coppia Edoardo e Vanda Weiss, i pionieri della psicoanalisi italiana. Edoardo nato a Vienna, studia e si forma a Trieste, città dove, dopo la Prima guerra mondiale, aprirà il primo studio di psicoanalisi in Italia. Il mondo accademico e quello medico accolgono assai malamente la psicoanalisi, uno dei motivi per cui i Weiss lasceranno Trieste. Nel 1931 la famiglia si trasferisce a Roma, anno molto importante per gli sviluppi della disciplina: infatti nell’ottobre si assiste alla riunione della Società psicoanalitica italiana (S.P.I.) proprio in casa Weiss e poco dopo viene fondata la rivista italiana di psicoanalisi. Vanda è l’unica donna membro della S.P.I. e prima a praticare la psicoanalisi in Italia. Dal ‘32 al ‘38 Edoardo ricopre la carica di presidente S.P.I. poi sciolta nel ’38 con l’inasprirsi del fascismo. Nel ‘39 la famiglia è costretta a migrare in America.
Così scrive Edoardo al suo maestro Paul Federn nel 1937: “I tempi odierni dal punto di vista storico-culturale appariranno molto interessanti ai nostri posteri, noi però siamo i contemporanei che ne sopportano le sofferenze”.
Anna Ferruta invece si sofferma su quattro temi specifici legati ognuno ad una certa personalità del mondo ebraico: la centralità del libro come strumento di conoscenza e l’importanza della traduzione con Cesare Musatti, autore che tradusse l’opera di Freud in italiano. L’importanza del libro è centrale nella tradizione e cultura ebraica, dove quest’ultimo è percepito come sorgente viva senza troppe mediazioni. Secondo tema è ancora una volta l’attenzione all’alterità del paziente con Luciana Nissim Momigliano, spirito indipendente della cultura ebraica, sopravvissuta ad Auschwitz che insegna l’importanza dello stare con il paziente in quella che lei stessa definisce un’esperienza affettiva. Altro tema il riconoscimento dell’importanza delle prime fasi di vita del paziente nel percorso psichico con Emilio Servadio e i coniugi Renata ed Eugenio Gaddini che grazie al loro lavoro favorirono la diffusione in Italia del pensiero di Winnicot. Infine Enzo Morpurgo e Roberto Tagliacozzo, altri due autori dell’ambiente ebraico che pongono al centro dei lori studi l’analisi della sofferenza psichica e la capacità di ascoltare il dolore.

Alice Fubini

(14 novembre 2016)