Uomo del bene
Il romanziere e giornalista Paul Brulat – filoanarchico amico di Emile Zola e redattore del quotidiano “Les Droits de l’Homme”, quotidiano fondato per difendere la causa dell’ufficiale Alfred Dreyfus, ingiustamente accusato di alto tradimento in quello che fu il caso più famoso di antisemitismo nazionalista dell’età contemporanea – scrisse che “Il suffit d’un instant pour faire un héros, mais il faut une vie entière pour faire un homme de bien (Pensées, Eugène Figuière éd., 1919).
Non eroe da azioni fugaci e spettacolari ma uomo di bene nella quotidianità era certamente il nostro padre Avraham, di cui abbiamo appena letto nella parashat Vayerà che, ancora dolorante dopo il Brit Milà, non esitò a correre incontro ai tre uomini intravisti in lontananza mentre sedeva all’ingresso della sua tenda. Commenta Rashi, infatti, che malgrado il dolore egli aspettava di scorgere eventuali passanti per invitarli ad entrare e ristorarsi nella sua tenda. Secondo il Midrash Aggadà (18,2: 11) HaShem, affinché Avraham potesse riposarsi dopo la Milà, mandò giorni molto caldi ed afosi in modo che nessuno si mettesse in cammino, ma poiché Avraham non rinunciò ugualmente ad aspettare nel caso qualcuno passasse comunque, D-o gli mandò incontro i tre viandanti (in realtà tre angeli. Così, il nostro patriarca poté correre loro incontro e compiere la mitzvà della HaKnassat Orhim, l’accoglienza degli ospiti (Bereshit 18,2).
Ad ogni sollecita azione di Avraham nei confronti degli angeli (corse, si affrettò, corse…) corrisponde una pari amorevole azione di Kadosh BaruchHu nei confronti di Am Israel: egli offrì loro dell’acqua, e parimenti il popolo avrebbe avuto acqua nel deserto; fece lavare loro i piedi (probabilmente, commenta Rashi secondo il Talmud Bavli, Baba Metzià 87a, pensando che fossero pagani adoratori della polvere, e lo fece per non fare entrare l’idolatria nella sua tenda) ed il Signore avrebbe lavato i Figli di Israele dall’impurità; disse loro di ripararsi all’ombra dell’albero così come gli ebrei avrebbero poi avuto la Mitzvà della Sukkà, e così di seguito (Midrash Rabbà, Bereshit 48,10).
Da qui deriva, dice il Midrash Tanhumà (Vayerà, 4), che gli Tzaddikim, i giusti, parlano poco ma compiono molte buone azioni. Sottolinea Rav Elia Kopciowski z.l. che, non a caso, Abramo merita di essere padre delle tre religioni monoteiste (Invito alla lettura della Torà, Giuntina, p. 37): il midrash infatti rammenta come la sua tenda fosse aperta su tutti e quattro i lati, in modo che da qualsiasi direzione arrivasse un viandante, potesse vedere pronta ospitalità.
Curioso averlo letto proprio l’ultimo Shabbat, pensava guardando Il quarto stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, mentre si accingevano alla difficile scelta di dove avrebbero appeso i quadri di casa dopo un trasloco durato quasi un anno e che sembrava non finire mai – la riproduzione de Il sogno di Pablo Picasso in cucina dove, sebbene lui l’avesse acquistato anni prima, in qualche modo doveva sapere che il rosso della poltrona in cui moglie dell’artista riposa, bene avrebbe richiamato il colore rosso della loro futura mobilia.
Lei aveva avuto a lungo Il quarto stato appeso sopra al letto – come le avevano detto alcuni amici in visita anni prima, certo non si sarebbero aspettati di trovare un’effige cristiana in casa sua, ma solo lei poteva avere proprio quel dipinto in camera! – e prima ancora lo ricordava, bambina, nella penombra della stanza dello zio più giovane, quando il sabato mattina la nonna l’autorizzava, finalmente, ad andare a svegliarlo.
Immagine inquietante, secondo il suo compagno, con tutte quelle persone in cammino, mentre lei no, aveva sempre pensato alla fermezza serena e alla forza di quel popolo, disarmato e scalzo, in marcia per rivendicare in maniera non violenta il diritto più elementare di tutti, il pane, con quella sorta di “ambasciatrice della fame” (volendo ribattere a posteriori ai suoi amici di allora) di madonna laica scalza in primo piano. È la fiumana di figure, secondo un altro dipinto di Pellizza precedente Il quarto stato che inizialmente doveva intitolarsi Il cammino dei lavoratori, al pari del precedente Ambasciatori della fame, costituita da una massa di persone compatta e vibrante, ben diversa dalla folla manzoniana perché avanza foriera di speranze piuttosto che minacciosa, “assetata di giustizia”, come ebbe a scrivere l’artista, insieme al filosofo e al poeta, all’operaio ed alle donne. Insieme, camminano quasi fermi, avanzando inesorabilmente per avere da mangiare.
Il cibo, raccontava alcune sere or sono il signor Pereira, custode del monumento votivo militare brasiliano di Pistoia (il sacrario militare eretto in onore dei soldati brasiliani caduti durante il Secondo conflitto mondiale) e a sua volta figlio di uno dei soldati della “Força Expedicionária Brasileira”, che i militari inglesi gettavano via, i soldati americani lasciavano prendere alla popolazione civile affamata come si getta il cibo agli animali, ed i brasiliani condividevano con dignità.
Il cibo, che nei paradossi della nostra post civiltà odierna è sovrabbondante nelle mense pubbliche e gettato via per supposte ragioni igienico sanitarie se non consumato, anche se integro e non scaduto, quando dieci metri più in là i nuovi poveri si affollano nei punti di ristoro organizzati da enti assistenziali e rovistano tra la spazzatura.
Ma almeno smette di piovere ed esce il sole. Qualcosa da qualche parte, lentamente si muove, se come leggo su “La Stampa” del 19 novembre, da Torino a Milano, una nuova App chiamata “Lastminutesottocasa” collega fra di loro i negozi di quartiere che offrono a prezzo ridotto i prodotti vicini alla scadenza, contribuendo così ridurre di circa tre tonnellate al mese lo spreco alimentare.
Sarebbe indice di un’umanità più rispettosa verso il prossimo lasciare a disposizione il pane fatto della farina migliore, come le matzot che Avraham chiese a Sarà di preparare per gli ospiti, prima ancora che loro stessi avanzino per rivendicarlo.
Il sole si mostra, pallido. Il quarto stato, dopo aver rischiato di essere relegato in soffitta insieme ad un diploma ormai sbiadito del Bar Mitzvà di lui ed un ritratto di lei, trova finalmente il suo posto in casa.
Sara Valentina Di Palma
(24 novembre 2016)