legami…

Con una straordinaria immagine il Midràsh, ripreso da Rashì nel suo commento alla Torah (Bereshìt, 24; 6), ci racconta come nello stesso momento in cui Avrahàm si preoccupa di far sposare suo figlio Itzchàk, quest’ultimo si prodiga per far tornare Hagàr nella casa del suo vecchio padre ormai vedovo da tre anni.
Hagàr, una principessa d’Egitto, donna nobile di aspetto e di modi, nel frattempo è diventata Qeturà. Un cambiamento di nome che come sempre, nella tradizione ebraica, costituisce lo specchio di un processo di elevazione dell’anima e di un nuovo indirizzamento del proprio destino. Hagàr/Qeturà, è pronta, dopo tanti anni, a tornare da colui che è rimasto l’unico amore della sua vita, nonostante Avrahàm fosse stato costretto a sacrificarla per ragioni superiori. Probabilmente anche Itzchàk si rende conto che Hagàr per suo padre non ha costituito soltanto un utero in affitto quando Sara era ancora sterile, e anche ora, non sta cercando in lei solo una badante a cui affidare il suo vecchio genitore. Itzchàk va a riprendere Hagàr perché capisce quanto Avraham le ha voluto bene e quanto dolore ha provato nel mandarla via. Sempre il Midràsh, ripreso da Rashì (Bereshìt, 25; 1) rinviene nella radice del nuovo nome di Hagàr, Qeturà, il carattere virtuoso di questa donna che come l’incenso, Qetoret, miscela e lega assieme tanti odori differenti. La radice di questa parola indica infatti il legare. Come il suo legame con Avrahàm che si porta dentro e che i tanti anni di distanza non hanno affievolito.
All’amore progettuale e provvidenziale di Itzchàk e Rivkà ( la prima volta che compare la parola “amare” nella Torah), si accompagna parallelamente un’altra storia, quella di Avrahàm e Hagàr in cui amare significa saper aspettare e portandosi dentro a distanza. Hagàr / Qeturà è il paradigma di chi si fa carico, nella solitudine e nella sofferenza, dei fardelli e dei tanti pezzi di sé e dell’altro imparando a legarli tutti assieme.

Roberto Della Rocca, rabbino

(29 novembre 2016)