Il Salmo e il campo di patate

lotoroDurante la Seconda Guerra Mondiale la musica religiosa conobbe in cattività una incredibile impennata creativa e prolificità; tralasciando la produzione sacra nei Campi di prigionia militare – dove non sussistevano particolari restrizioni in merito – nei Campi di concentramento e internamento civile i musicisti diedero alta espressione musicale al sentimento religioso.
Numerosi musicisti ebrei nei Lager stesero in partitura opere destinate alla Tefillà o a momenti topici del calendario religioso ebraico, in un periodo storico nel quale la lingua ebraica non era lingua corrente come lo divenne all’indomani della nascita dello Stato d’Israele.
Presso lo Sterne–Lager di Bergen–Belsen Józef Z’vi Pinkhof stese parti della Tefillà (Lecho Adonoi, Wajhie, Gadlu, Ki miTzion e altro) con testo trasliterrato in caratteri latini in calce alla linea musicale; il testo riproduceva la pronuncia ebraica tipicamente askenazita con “Surò” in luogo di “Torà”, “Umain” in luogo di “Amen”, “Tekò beShofur” e così via.
il-compositore-william-hilsley-joseph-ben-mendel-halleviA Theresienstadt il compositore tedesco Zigmund Schul scrisse Cantata Judaica op.13 per coro machile (pervenuto il Finale) e lo struggente Mogen Owaus (Magen Avoth) per coro misto, soprano, baritono e organo; l’organo suonato durante lo Shabbath nonché cantanti solisti e coro misto (uomini e donne che cantano fianco a fianco) ritornano in altre partiture religiose, accondiscendendo al gusto operistico dell’epoca (molti hazanim cantavano con voce impostata anziché con la messa in voce tipicamente nasale) e a testimonianza di anni nei quali, senza scomodare l’ebraismo riformato, nelle sinagoghe si accettavano di buon grado alcune “licenze” (solitamente l’organista era un non ebreo).
A Westerbork Hans Krieg scrisse canti per l’accensione dei lumi a Channukkà mentre, presso la colonia penale del Campo, l’ebreo olandese Hans van Collem compose Psalm 100 sul terriccio del campo di patate dove svolgeva i lavori forzati e poi lo stese su carta igienica; la domenica successiva, approfittando dell’assenza delle guardie, lo eseguì con un coro nelle latrine della colonia.
Presso il Campo di internamento australiano di Tatura (Victoria) il rabbino della sinagoga riformata Brunenstrasse di Berlino Boaz Bischofswerder (emigrato nel 1933 in Gran Bretagna, internato allo scoppio della Guerra poiché classificato enemy alien) scrisse tra l’altro Shevà Berachot per baritono e pianoforte (l’accompagnamento pianistico è mediocre); nonostante il fastidioso fruscìo, alcune audiocassette masterizzate conservano i suoi splendidi El Male Rachamim e Lehu Nerann’no scritti in notazione moderna presso il Campo di internamento australiano di Hay e da lui stesso eseguiti.
Nel 1943 presso il Campo di internamento civile slesiano VIIIZ di Kreuzburg (oggi Kluczbork, Polonia), su richiesta degli internati cattolici, il pianista e compositore quacchero britannico William Hilsley (nato Hildesheimer) scrisse una Missa in festo nativitatis per coro maschile a cappella; soltanto nel 2000 (tre anni prima della sua morte) Hilsley affermò in una lunga intervista di essere di origine ebraica e che il suo vero nome era Josef ben Mendel Hallevi.
Il KZ Dachau fu l’epicentro della musica religiosa cristiana concentrazionaria, ivi entrarono 2.579 sacerdoti, vescovi e monaci ma anche 109 pastori evangelici, 22 prelati greco–ortodossi e altri della Chiesa riformata e veterocattolica; di essi, 1.034 morirono per inedia, malattia, impiccagione, fucilazione o crocifissi a testa in giù, 300 di essi subirono esperimenti medici o perirono sotto tortura.
Il benedettino Gregor Schwake scrisse la Dachauer Messe per coro maschile, quartetto d’ottoni e organo eseguendola clandestinamente presso il Block 26 con il solo accompagnamento di harmonium; il coro di sacerdoti era diretto dal boemo Karl Schrammel in seguito accusato di spionaggio, trasferito a Buchenwald per non turbare gli altri ecclesiastici e colà impiccato.
Nel 1942 a Sachsenhausen il compositore geovista tedesco Eric Frost concepì l’inno religioso Fest steht per coro maschile, ricordato a memoria dall’autore e altri suoi correligionari, steso su un foglio e inviato clandestinamente in Svizzera, l’inno è tuttora cantato nelle loro congregazioni come cantico n.29; successivamente trasferito presso le Isole del Canale (temporaneamente occupate dai tedeschi), ivi scrisse altri inni religiosi con accompagnamento organistico.
Al di là della religione professata e a dispetto del senso di abbandono in cattività, il musicista seppe sostenere l’ispirazione religiosa grazie alla creatività musicale; persino di fronte all’ineluttabile.
Perché anche in quei momenti il musicista scorge il sacro e lo modella in partitura, capovolgendolo; giusto il finale dell’opera Der Kaiser von Atlantis scritta a Theresienstadt da Viktor Ullmann su libretto di Petr Kien allorquando, parafrasando il comandamento della Torà e in un’atmosfera da severo corale luterano, i cantanti intoneranno “Du sollst den großen Namen Tod nicht eitel beschwören”.
Non dovrai mai nominare il nome della Morte invano.

Francesco Lotoro