Vecchiaia

Sara Valentina Di PalmaPrendi uno Shabbat autunnale, forse il primo di aria frizzante, aggiungi un gruppo di persone riunite intorno alla nostra Rabbanit (illuminante come sempre), a sedere nel giardino del Tempio, discutendo della Parashat Haie Sarà, che inizia riassumendo gli anni della vita della nostra prima matriarca per raccontarci, cosa alquanto singolare, la sua morte. Avraham pensò alla sua sepoltura, e quindi a proseguire la vita cercando una moglie per il figlio Yitzhak. Ma, prima di raccontare questo, la Torah dice che “Avraham era anziano, venuto ai giorni” (Bereshit 24,1).
La Rabbanit ci ha invitato a riflettere, citando un midrash, su come prima di Avraham non esistesse la vecchiaia, che egli chiese in dono a Kadosh BaruchHu (Talmud Bavli, Baba Mezi’a 87a). La fonte midrashica dice che la richiesta del nostro patriarca fu formulata dato che “chiunque volesse parlare ad Abramo parlava ad Isacco, e viceversa. Perciò egli pregò, ed iniziò ad esistere la vecchiaia”, la quale ad alcuni di noi ha rammentato la necessità di una ridefinizione dei ruoli, in una società come quella odierna in cui il rispetto per gli anziani è venuto meno e la vecchiaia non è più intesa come sinonimo di saggezza, bensì come un peso, poiché inciampo all’efficienza ed alla produttività innalzati a valori supremi.
Vero anche, come commentano i saggi, che זכן zaken, l’anziano, è il saggio dedito allo studio della Torah, ma Avraham oltre a questo è anche “venuto ai giorni”, ovvero capace di migliorare il mondo. Qualcuno ha visto nella apparente ridondanza delle locuzioni “vecchio” e “avanzato negli anni” i concetti di anzianità intesa come saggezza e di vecchiaia come decadimento fisico.
Altri hanno ricordato che con Avraham, primo ebreo, inizia la storia, e non ha caso la parashà seguente è Toledot, generazioni: inizia la storia del popolo ebraico ed inizia parimenti la scansione delle fasi della vita.
Ma come è umano questo D-o che conversa, anche qui, a tu per tu con l’uomo, tante volte con Avraham come sarà con Moshè! Uno eterno, l’altro effimero e dedito a ricordare al Signore che l’uomo è stato creato transitorio. Come se Avraham dicesse a D-o, d’accordo, il tuo creato è bellissimo e perfetto, ma tu, come cantiamo nell’Adon Olam (וְהוּא הָיָה וְהוּא הֹוֶה וְהוּא יִהְיֶה , Egli era, è e sarà, perché, aggiungiamo, “è senza inizio e senza fine”), tu che sei eterno, non hai pensato che invece noi esseri umani siamo finiti, abbiamo bisogno di distinguere il tempo, e che non vi sia confusione tra le varie età?
E tu, Kadosh BaruchHu, ora che mi è morta Sara, la compagna di vita, riconoscimi che inizia una nuova fase, ma a questo punto posso dichiararmi anziano, lei non c’è più, Yitzhak deve avere una moglie perché la storia continuerà con lui. Senza Sara mi preparo a cedere a lui il testimone della discendenza ebraica. Per lei, ho comprato a caro prezzo un luogo di sepoltura, affinché i vivi domani si ricordino dei morti e della storia che abbiamo iniziato per loro.
Muore Sara, e cambia il concetto di tempo. Lei vissuta nella giustizia, osservando le mitzvot, senza la quale la nube di gloria cessa di aleggiare sulla tenda, la luce accesa da uno Shabbat all’altro si spegne, cessa la Beracà sull’impasto della Challà.
Sara sarà anche morta, ma il ricordo del suo operato resta, rendendone viva la memoria e l’insegnamento dopo la morte. Per questo la parashà dice della morte di Sara, ma intende la vita.

Sara Valentina Di Palma

(1 dicembre 2016)