ghiur…

Da una non troppo riscaldata stanza del Dipartimento per il ghiur del Rabbinato di Gerusalemme dove è solito riunirsi il Bet Din addetto ai ghiurim, non lontano da importanti Ministeri dello Stato di Israele, una ragazza di poco meno di quattordici anni ha telefonato a un’amica urlando con commozione ed entusiasmo: “L’abbiamo passato! L’abbiamo passato!” “Ma cosa? Quella cosa che mi hai spiegato oggi del Bet Din con i rabbini?” “Esatto! Da oggi siamo ebrei!” “Ma non lo eravate anche prima?” “Si ma adesso lo siamo veramente!” “Per me lo eri anche prima!” Così ha concluso la telefonata l’amica chiamata.
Ed in questo scambio di parole tra due adolescenti, la chiamante figlia di una famiglia che ieri ha passato il Bet Din per il ghiur e la chiamata, una qualunque ragazza ebrea di Yerushalaim, troviamo il senso di un percorso che si conclude, di un ghiur familiare che arriva al capolinea del proprio destino ebraico, di un “essere veramente” ciò che si è scelto testardamente di essere al di là della logica delle storie personali e familiari. Aver sentito quella conversazione così schietta, eppure così profonda mi ha fatto capire che potremmo scrivere mille, duemila, tremila pagine di analisi antropologica, storica, geografica, sociologica e demografica del ghiur, ma se non si entra in un Bet Din, se non si è presenti mentre una famiglia intera è in piedi con le mani sugli occhi recitando lo Shemà come dichiarazione dell’accettazione del loro destino di ebrei, quelle pagine saranno irreali. Come una bella gouache che rappresenta Napoli, Capri o Palermo o Trieste, ma che non è Napoli, Capri o Palermo o Trieste: è un’immagine, un’ipotesi, una trasposizione scientificamente colorata. Il colore vero della realtà, in questo caso, è racchiuso in una famiglia di cinque persone, Shimon, Hodayà, Yochanan, Yael e Tzippora, che da ieri, primo giorno del mese di Kislev, sono parte del popolo ebraico, qui a Yerushalaim, al di là di ogni pagina che ne analizzi i colori, le motivazioni, le implicazioni sociali, psicologiche o di altra scienza. Mazal tov al popolo ebraico che accoglie: che bel mestiere questo mio.

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino

(2 dicembre 2016)