ORIZZONTI “È ora di trovare un’intesa sulla Siria”

In una guerra per procura «serve una pace per procura», dice l’inviato de-l’Onu per la Siria Staffan De Mistura durante il suo intervento a Med, il Forum del dialogo mediterraneo che si è chiuso ieri a Roma. Si dichiara pronto ad andare al più presto negli Usa: «Non so quale sia la posizione di Trump sulla Siria. Mi pare che al momento la sua idea è trovare un accordo con Putin per la lotta all’Isis, il nostro nemico comune. La priorità deve essere combattere l’Isis, ma se vogliamo sconfiggerlo dobbiamo ricordare la lezione imparata in Iraq e Libia, e cioè trovare una soluzione politica inclusiva che comprenda tutti quelli a cui sono stati tolti i diritti».

Ambasciatore de Mistura, Mosca ha creato le condizioni «facts on the ground» per il controllo di Aleppo, e lo ha fatto prima dell’insediamen-to di Trump. Che cosa significa per il futuro della Siria?

«Questo è il punto: i “facts on the ground” sono per definizione fatti che non si possono ignorare, in quanto già realizzati sul terreno appunto. In qualunque conflitto fanno la differenza. Ciò che è importante, ed è il messaggio che stiamo dando ai russi, è che bisogna andare oltre “lo stato dei fatti” e chiedersi: chi ricostruirà il Paese, i russi, gli iraniani? Verrà mai ricostruito? Chi garantirà che a fronte di una sconfitta della struttura portante dell’Isis non possano rinascere mille altri rivoli di Isis, capaci di spuntare come funghi a ogni angolo? Si può vincere una battaglia, ma qui dobbiamo vincere la guerra, e quindi vincere la pace».

Come secondo lei?

«Solo con un accordo, e adesso è il momento giusto: la Russia deve dire ad Assad: “Ti abbiamo aiutato, hai ottenuto risultati sul terreno, e abbiamo anche aiutato il mondo combattendo l’Isis, ma ora è il momento di mostrarsi aperti a un compromesso, di includere l’opposizione nella condivisione del potere”. Questo è ciò di cui tutti siamo convinti, e penso che anche i russi lo siano, altrimenti la vittoria sul campo sarà una vittoria di Pirro».

Cosa risponde ai russi che la accusano di ostacolare il dialogo intrasiriano?

«Non credo che sia la maniera giusta di interpretare le cose. Ho avuto tre dialoghi organizzati a Ginevra, che hanno prodotto effettivamente solo alcune generiche conclusioni. Per quale motivo? Perché il governo siriano non era pronto a negoziare la condivisione del potere. E da parte dell’opposizione alcuni erano fermi nel ripetere: “Parliamo solo se Assad va via”. Bene, tutto questo secondo me deve cambiare, sta cambiando, forse è già cambiato».

Su quali Paesi secondo lei bisogna fare leva per aiutare i siriani a sedersi intorno a un tavolo?

«Bisogna coinvolgere tutte le potenze dell’area: la Turchia, l’Iran, l’Arabia Saudita, il Qatar, gli Emirati, la Giordania. Tutti hanno un’influenza. Se riusciamo a convincerli che è giunto il momento di trovare una soluzione che non è quella che ognuno di essi auspicava, aiuteremo i siriani a partecipare a una soluzione comune».

Si teme che la popolazione civile possa subire colpi ancora più duri di quelli che già le sono stati inferti. Come evitare nuovi massacri?

«Ci sono circa 160 mila civili ad Aleppo, dobbiamo assolutamente evitare che la prossima battaglia sia sanguinosa, e per questo bisogna giocare d’anticipo e trovare al più presto un accordo. Non riesco a immaginare Trump che parla di Siria con Putin mentre Aleppo viene distrutta».

Francesca Sforza, La Stampa, 4 dicembre 2016