Shir shishi – Mia madre cuoceva per me
Com’è bella la parola in ebraico lefasfes, che significa perdere o mancare un’occasione, perché con i suoni e l’onomatopea chiarisce quello che l’Accademia Svedese si è lasciata sfuggire, ovvero l’assegnazione del Nobel per la letteratura a uno dei più grandi poeti contemporanei, cantore laico della sacralità e compositore spirituale del quotidiano. Yehuda Amichai nasce in Germania con il nome Ludwig Pfeuffer nel 1924 e muore a Gerusalemme nell’autunno del 2000. Emigra in Palestina nel 1936, sfuggendo così alle grinfie dei nazisti; qui presta servizio nella Brigata Ebraica e combatte nella Guerra d’Indipendenza. Assiste al processo Eichmann come giornalista e negli anni viene invitato in qualità di professore in diverse università nel mondo. Amichai ha vinto il premio Israele nel 1982 e i suoi racconti e liriche sono tradotti in 40 lingue diverse. Alla cerimonia di consegna del premio Nobel per la pace, Yitzhak Rabin ha voluto lui e le sue poesie.
Nella poesia di oggi si sente la nostalgia per la bontà e il profumo della fanciullezza e, come sempre nei componimenti di Amichai, la fine rovescia tutto e le ultime righe parlano di una consapevole vecchiaia, di capelli canuti e del canto degli uccelli che egli stesso rischia di perdere. Semplicemente lefasfes.
Mia madre cuoceva nel forno il mondo intero per me
in dolci torte.
La mia amata riempiva la mia finestra
Con uva passa di stelle.
E le nostalgie sono racchiuse in me come bolle d’aria
nel pane.
Esternamente sono liscio, silenzioso e bruno.
Il mondo mi ama.
Ma i miei capelli sono tristi come i giunchi nello stagno
che va prosciugandosi.
Tutti i rari uccelli dalle belle piume
fuggono via da me.
Traduzione di Ariel Rathaus.
Sarah Kaminski, Università di Torino