confronti…

L’episodio della strenua lotta sostenuta da Giacobbe, nel corso di una lunga notte, con un misterioso personaggio, trova nel midrash alcune interpretazioni che conferiscono a questo evento una dimensione in un certo senso esistenziale, che non riguarda solo il patriarca ma l’uomo in senso più ampio.
“Giacobbe rimase da solo ed un uomo lottò con lui fino al sorgere dell’alba (Genesi 32,25).“R. Chammà bar Chaninà disse : gli apparve come l’angelo di Esaù; R. Hunà disse: gli apparve come un pastore; Ravà disse: gli si mostrò come un Maestro”. (Bereshit Rabbà 76,2; Talmud B. Chullin 91).
“L’angelo” di Esaù rappresenta nel linguaggio metaforico e di simboli del midrash, il tipo di civiltà, di valori, il modello di vita di Esaù, diametralmente opposto rispetto a quello di Giacobbe, perché basato su criteri di piaceri ed ambizioni materiali e sul dominio imposto dal più forte; è con questa immagine di Esaù che Giacobbe doveva confrontarsi apertamente, dopo aver conseguito la primogenitura e la benedizione paterna in maniera non del tutto limpida, cioè senza veramente prendere pienamente coscienza del conflitto. Lottare “con l’angelo di Esaù” significa, nel senso più ampio, trovare la forza per affrontare a viso aperto le scelte di valori, la distinzione di campo, gli obiettivi più importanti della nostra vita, sapendoli individuare come elementi forti, non occasionali, non frutto di manovre di sottobanco, anche a costo di doverli difendere e rivendicare con dure lotte. È un impegno durissimo, per questo Giacobbe riceverà, al termine della lotta, il nome di Israel “che ha combattuto con il Signore e con gli uomini”, e tuttavia il nome “Yaakov” colui che “afferra il calcagno”, che deve ricorrere ad altri mezzi meno frontali per prevalere, non viene cancellato, forse perché la ricerca di una purezza assoluta nelle dure lotte di questa vita può essere una scelta audace, ma, in certi casi, non del tutto limpida, se nasconde l’incapacità e l’indisponibilità a riconoscere anche i propri limiti.
La seconda interpretazione del midrash relativa al personaggio con cui Giacobbe sostiene la lotta è quella di un pastore che viene a proporre uno scambio di favori nella conduzione del gregge; questa proposta può essere letta alla luce del fatto che il termine “ro’è”, che indica il pastore, è assonante al vocabolo “roa’”, che rappresenta il male; questa immagine del midrash ci parla dunque del male che si presenta sotto le allettanti sembianze di proposte apparentemente innocue, di accordi, interessi congiunti, patteggiamenti. Anche di questo tipo di confronti dobbiamo essere coscienti, perché il male si presenta sotto diverse sembianze ed a volte ci pone nella necessità di rifiutare sollecitazioni e proposte appaganti e suggestive in termini di utile immediato, per poi rivelarsi nella loro vera natura di azioni disoneste e truffaldine.
Infine la terza immagine del midrash ci dice che addirittura il male può prendere l’aspetto di un maestro, utilizzare cioè gli stessi suggestivi strumenti del sapere per stravolgere e sovvertire i valori essenziali ,ovvero usare mezzi dialettici e interpretazioni cavillose per far apparire come un bene ciò che ne è il contrario, per dimostrare che sia puro ciò che in realtà è l’emblema dell’impurità in termini di valore etico e morale.
Giacobbe sostiene questa lotta, nelle sue diverse immagini, e vince, anche se ne risulta zoppicante, perché non sono confronti dai quali si esce indenni; ogni persona deve affrontare uno o ciascuno di questi confronti per essere veramente se stesso e certamente lo deve fare ogni ebreo per essere parte dei Benè Israel, dei “figli di Giacobbe-Israel”.

Giuseppe Momigliano, rabbino

(14 dicembre 2016)