Regole rovesciate

Valerio FiandraDobbiamo contare fino a 60, dice Calò a Kevin. E infatti le ultime cinque pagine di Carne mia, di Roberto Alajmo (Sellerio) sono un conto alla rovescia che precipita il finale in un testa coda letterale che aggancia le prime cinque. È ‘una storia semplice’, narrata senza fretta, come un treno a vapore che procede su binari dritti e – quando si ferma alla stazione – lascia ammirati noi lettori-passeggeri.
Non servono infatti – anzi disturbano – gli effetti speciali, se un romanzo ha nelle parole la forza di rappresentare l’abisso; ma ci vuole una prosa incollata ai paesaggi, ai fatti, ai personaggi. Alajmo non ha fretta: comincia dalla fine perché sa che ogni fine è nota, quando il destino è un orto chiuso come lo è per chi nasce al Borgo Vecchio, l’enclave all’interno della zona più prestigiosa di Palermo dove tutte le regole sono sospese, se non rovesciate – e che non basta andare a vivere in Spagna per farlo deragliare.
Un padre che scompare, una vedova e due figli; quello piccolo è più grande del maggiore; quello più debole dispensa disperata violenza, ma quello forte quando colpisce è letale. La sorte, però, quella non sa leggere – scrive: e un bambino quasi appena nato cambierà famiglia e paese, ma non il destino. Di più non voglio dirvi, perché meritate di restare appiccicati alle belle pagine (anche grazie alla magnifica carta palatina della Fabriano sulla quale Sellerio stampa la collana Il Contesto) che Alajmo scrive, anzi srotolerà davanti ai vostri occhi. Carne mia è infatti un romanzo che qualcuno potrebbe definire un giallo, o un noir – cedendo alla moda di confondere una gran bella storia (misteriosa per definizione) con una banale inchiesta poliziesca. La differenza, e non me ne vogliano gli appassionati, è abissale.

Valerio Fiandra

(22 dicembre 2016)