Shir Shishì – Uri
Rachel Bluwstein, nata a Saratov, Russia nel 1890 e morta a Tel Aviv nel 1911, è una figura cult per la società israeliana. Le sue liriche fanno parte del programma di studi delle scuole medie e al liceo tutti gli israeliani “pragmatici”, che lentamente cancellano la letteratura dagli esami di maturità, volente o nolente, hanno studiato almeno una delle sue poesie. Se non le hanno studiate, – chi sa se non sia il miglior modo per nutrire un pizzico di amore per la poesia? -, sicuramente cantano “Se avessi un figlio”, poesia del 1927 meglio nota con il nome “Uri”, cantata da Noa.
Rachel arriva in Terra di Israele nel 1909, l’anno in cui nasce la città di Tel Aviv e il primo kibbutz Degania. Fedele alla visione pionieristica sionista abbandona l’idea di studiare lettere in Italia e decide di dedicarsi al lavoro agricolo e vivere a contatto con la natura. Studia agronomia in una delle prime scuole-fattorie per ragazze, sulle sponde del lago Kinneret, ideata e costruita dall’attivista e leader sionista Hanna Meisel. Nel 1913 Rachel studia Agronomia a Tolosa e un anno dopo torna in Russia per stare con la famiglia. Durante questa permanenza contrae la tubercolosi e una volta tornata in Palestina, tra i pionieri di Degania, cominciano a rivelarsi i primi sintomi della malattia. I compagni non esitano ad allontanarla dall’insediamento comunitario e lei si trova sola e malata in un piccolo appartamento a Tel Aviv e poi in un ospizio a Ghedera. Rachel conosceva Yosef Klausner, Berl Katzenelzon, Zalman Shazar, ma la sua fine fu segnata da una grande solitudine. Oggi la sua tomba si trova vicino al Lago Kinneret, un punto di pellegrinaggio per una moltitudine di visitatori, giovani e anziani. Alla tomba è legata con una catena la sua raccolta di poesie, per evitare che gli ammiratori più accaniti o i semplici malintenzionati rubino il libro.
Se avessi un figlio
un bimbo
dai riccioli neri e saggio,
lo terrei per mano e camminerei adagio, adagio lungo i sentieri del giardino.
Un bimbo.
Uri lo chiamerò,
Uri mio.
Un nome tenero, cristallino, breve.
Una scheggia lucente
per il mio figlio brunetto.
Uri lo chiamerò,
Uri – mio.
Ancora amareggiata come Rachel,
ancora in preghiera come Hanna a Shilò,
ancora lo aspetterò.
Per ascoltare: https://www.youtube.com/watch?v=jGU8X10Npqc
Sarah Kaminski, Università di Torino