Verso Chanukkah – Diradare le tenebre

chanukkiah-in-pietra-nera-a-tre-serbatoi-israel-museum-xviii-secoloUna coppia di sposi (torinese lei, israeliano lui), dopo aver celebrato il matrimonio a Gerusalemme e aver ivi fissato la propria dimora ha chiesto di poter ricevere una Berakhah nella cornice del Beth haKnesset di Carmagnola, la comunità d’origine degli avi di lei. Feci notare ai due giovani lo splendido Dukhan ottagonale a chiosco del 1766, costruito secondo uno stile attestato anche in altre sinagoghe piemontesi (Torino, Mondovì, Cherasco). Le otto arcate sono sovrastate da altrettanti medaglioni che riportano, una per ciascuno, le otto parole ebraiche tratte dal versetto: “Sono diventato per loro un santuario in miniatura nelle terre alle quali sono giunti” (Ez. 11,16). Commenta il Talmud (Meghillah 29a) a nome di R. Itzchak: “Si tratta dei Battè Kenessyot e Battè Midrashot di Babilonia”. Spiegai che il Profeta Ezechiele (Yechezqel) riferiva l’affermazione del Santo Benedetto allorché si trovava egli stesso esule in Babilonia. Il Santuario di Gerusalemme distrutto sarebbe stato sostituito da un “surrogato”. Non essendo più possibile eseguire i sacrifici come per l’addietro, la sinagoga come istituzione avrebbe preso il suo posto e la “offerta” delle nostre Tefillot e del nostro Studio sarebbe avvenuta in luogo degli animali sull’altare. Dovunque ci saremmo trovati. I nostri Maestri discutono sulla qedushah da attribuire al Beth haKnesset. C’è chi dice che essa deriva direttamente da quella del Beth haMiqdash e dunque ha origine biblica, mentre altri sostengono che la sacralità della sinagoga sussiste solo per disposizione rabbinica in memoria del Santuario distrutto. In ogni caso, dunque, la qedushah del Bet ha- Miqdash non ha pari. Il Talmud, peraltro, cita il versetto di Ezechiele per introdurre la profezia inversa. “R. El’azar ha-Qappar diceva: i Battè Kenessyot e Battè Midrashot di Babilonia saranno un giorno trasferiti nella Terra d’Israel”. Non è altro che un riassunto di quanto Ezechiele stesso scrive subito dopo: “Così dice il Signore Iddio: Io vi radunerò fra i popoli e vi raccoglierò dalle terre in cui siete stati dispersi e ridarò a voi la terra d’Israele. Vi giungeranno e toglieranno via tutti i suoi idoli, e tutti i suoi abomini elimineranno da lei. Darò loro un cuore solo, uno spirito nuovo porrò in loro… affinché seguano i miei statuti e osservino le mie leggi mettendole in pratica” (11, 17-20). Dissi allora agli sposi che essi costituivano la testimonianza vivente della veridicità delle parole dei Profeti. Trasferendosi dal Piemonte in Eretz Israel essi hanno fatto sì che questa particolare diaspora, di cui la Babilonia è solo un illustre esempio, trovasse la propria sublimazione nella Terra dei Padri e con essa la sinagoga di Carmagnola, almeno idealmente. Chi ha scritto quel versetto sul Dukhan del Beth haKnesset è stato profeta a sua volta, senza saperlo. Mi è poi capitato di riflettere sul fatto che le otto parole citate da Ezechiele in ebraico non si limitano ad adattarsi alle arcate del Dukhan in questione. Otto sono i giorni di Chanukkah e ho pensato che debba esistere una qualche relazione fra gli eventi. A ben vedere il Profeta parla di due forme di risorgimento nazionale: la prima di tipo fisico-politico, ovvero il ritorno degli esuli nella Terra Promessa. La seconda è di ordine spirituale: la rimozione dell’idolatria e il ritorno all’osservanza piena della Torah e delle Mitzvot. Rispetto ad altre ricorrenze del nostro calendario Chanukkah mette l’accento soprattutto su quest’ultimo aspetto. La Verità può essere semplicemente negata, oppure rinnegata. Nel primo caso nulla la sostituisce: è il vuoto conseguente alla Distruzione. Per ripristinare la Verità è sufficiente un’opera di ricostruzione, ancorché paziente. Nel secondo caso, invece, qualcos’altro prende il suo posto: la menzogna. Per ristabilire la Verità occorre anzitutto eliminare la falsità e ciò richiede uno sforzo di gran lunga superiore. Questo è il senso di Chanukkah. Lo Sfat Emet di Gur dice che Yawan, il vocabolo ebraico con cui si indica la Grecia, è connesso con il termine onaah che significa “inganno”. L’assimilazione che la cultura greca rappresenta nasce da un inganno, per cui scambiamo la verità con la menzogna. È un inganno sottile che ci fa perdere in modo graduale, ma inesorabile, i nostri tratti distintivi. Il solo antidoto a questa triste condizione è l’attaccamento a Eretz Israel e alla Torah in particolare. L’olio dei lumi di Chanukkah è interamente assorbito dallo stoppino. Altrettanto forte deve essere il nostro attaccamento ad H. Questa è la ragione per cui a differenza di altre feste gioiose a Chanukkah non si mette l’accento sul fatto di mangiare e bere. L’attenzione concentrata invece sulla Mitzvah di accendere i lumi ha piuttosto lo scopo di ricordarci che i greci non puntavano tanto al nostro annientamento materiale, quanto a quello spirituale. Il modo migliore per celebrare il miracolo di Chanukkah consiste dunque nell’osservare in pubblico quelle Mitzvot cui non avremmo potuto adempiere sotto i greci. Oggi quest’indipendenza spirituale, oltre che politica, ci è data dall’opzione di trasferirsi in Israele. ‘Aliyah (lett. “salita”) è anche il termine che nella Torah definisce l’accensione dei lumi del candelabro nel Santuario (Bemidbar 8,2). Chi compie la ‘aliyah in Israele fa di se stesso un lume sacro. E sappiamo che chi accende un lume non avvantaggia solo se stesso. I Maestri dicono ner le-echad ner le-meah (Shabbat 122a): “Un lume acceso per una persona fa luce anche ad altre cento persone intorno”. Solo così operando contribuiremo in modo significativo a diradare le tenebre intorno a noi e a far sì che il “Santuario in miniatura” del profeta Ezechiele torni a brillare, spiritualmente parlando, a “grandezza naturale”.

(nell’immagine una chanukkiah in pietra nera a tre serbatoi – Israel Museum, XVIII secolo)

Alberto Moshe Somekh, rabbino
Pagine Ebraiche, dicembre 2014