Periscopio – Le belle parole
Nonostante gli auguri di rito, non c’è dubbio che questo nuovo anno inizi, per quel che riguarda le relazioni di Israele – e, più in generale, dell’ebraismo – con il resto del mondo, decisamente male. Il senso della famosa risoluzione, ONU, su cui già tanto si è detto, è infatti inequivocabile. Israele è solo, è alla sbarra, è sotto accusa, e, se prima c’era qualcuno, forte e potente, che lo difendeva per principio, su questa difesa “a scatola chiusa” non c’è più da fare affidamento. E, se l’America non difende più automaticamente l’alleato sul piano diplomatico, ancora meno ci sarà da fare affidamento – nel malaugurato caso di necessità – su un aiuto di tipo militare. Le belle parole non costano nulla, il Presidente eletto americano è stato prodigo di parole di amore per Israele – sia pure infarcite, dato il personaggio, di qualche gaffe di dubbio gusto -, ma ci penserebbe certamente dieci volte prima di impegnare gli Stati Uniti militarmente, essendo tutto il suo programma incentrato fondamentalmente sull’esclusiva protezione degli interessi dell’America (anzi, di una precisa parte dell’America). E di ciò, naturalmente, tutti i nemici di Israele non potranno che compiacersi. Israele è solo, la sua maggiore o minore vulnerabilità dipende esclusivamente dalla sua intrinseca forza o debolezza, non da aiuti esterni, che non ci sono e non ci saranno. Meglio esserne ben consapevoli.
Riguardo alla natura di tale solitudine, non ci sarebbe neanche bisogno di rispondere alle solite dichiarazioni secondo cui “non è vero, Israele ha tanti amici, ma i veri amici non dicono sempre di sì, perseguire la soluzione ‘due popoli due stati’ è nello stesso interesse dello Stato ebraico, gli insediamenti sono un ostacolo alla pace, pronunciarsi contro gli insediamenti non vuol dire pronunciarsi contro Israele” ecc. ecc. Non ce ne sarebbe bisogno, tanto queste eterne chiacchiere, trite e ritrite, sono quello che sono, dei castelli di carta, bolle di sapone gonfiate solo da ipocrisia e malafede. Ma ricapitoliamo comunque, scusandoci di dover ripetere cose già dette mille volte, quelli che appaiono i punti salienti della questione:
a) Gli insediamenti (indipendentemente dai comportamenti e dall’estremismo di alcuni dei loro abitanti) sono una conseguenza del conflitto (scaturente dal rifiuto arabo alla stessa esistenza di Israele come Stato ebraico, sovrano e indipendente, al di là di ogni questione di confini), e non la sua causa: prima del ’67 non c’era neanche l’ombra di un solo ebreo al di là delle linea verde, e si è visto cos’è successo; allo stesso modo, quando, nel 2005, Israele si è ritirato da Gaza, si è vista, di nuovo, la risposta. Qualcuno ha forse notato un qualche cambiamento nelle successive posizioni della dirigenza palestinese (o nella generale disposizione d’animo del mondo arabo nei confronti dello Stato ebraico)? Il fronte del perenne rifiuto, della totale negazione e della sistematica criminalizzazione si è, se mai, rafforzato, non certo affievolito. Non ci vuole davvero molta fantasia per immaginare cosa accadrebbe, oggi come oggi, in una Cisgiordania finalmente “liberata”, quali ringraziamenti arriverebbero.
b) Che i suoi nemici dicano che Israele deve iniziare a smantellare gli insediamenti, per poi “essere smantellato”, in altro modo, in tutto il resto, è un programma manifesto e chiarissimo, che è stato dichiarato apertamente in tutti i modi, anche se molto preferiscono fare finta di non sentire. Questi signori fanno benissimo il loro mestiere, sono lucidi e coerenti, è normale che all’ONU firmino le loro dichiarazioni in questo senso, sarebbe strano se non lo facessero; risoluzioni, bombe, coltelli, boicottaggi, si prende e si usa quel che passa il convento, tutto fa brodo.
c) Che invece queste risoluzioni, con la pretesa di smantellamenti incondizionati e unilaterali, senza neanche una pallida finzione di negoziato e di trattativa, un timido accenno di minima richiesta alla controparte, un simbolico straccio di garanzia sulle conseguenze e sul futuro (anzi, con l’assoluta certezza che un Israele indebolito sarebbe nuovamente attaccato, resterebbe solo da vedere quando, probabilmente molto presto), siano firmate o non ostacolate anche da parte dei presunti amici, è davvero qualcosa di surreale. Israele non solo è criminale, ma deve andare sul patibolo con le sue gambe, deve collaborare docilmente al proprio “suicidio assistito”.
Francesco Lucrezi, storico
(4 gennaio 2017)