JCiak – Le ombre cupe di Bambi
La fuga disperata fra la neve. Il rimbombo degli spari. La neve che scende fitta sino a confondersi con la notte. Bambi disperato che invoca la mamma. E’ la scena più triste di quello che è uno dei più cupi film per bambini mai girati. Non fa specie che all’epoca i critici per mille motivi lo abbiano massacrato. A leggerlo in filigrana, questo quinto film di Walt Disney si rivela però il frutto perfetto del suo tempo. Bambi esce nell’agosto 1942, in piena guerra. E sgorga dalla fantasia di due artisti che non si sono mai incontrati ma hanno sperimentato entrambi in prima persona il razzismo e la discriminazione: Felix Salten, l’autore ebreo-ungherese dell’omonimo romanzo, e Tyrus Wong, artista cinese-americano da poco scomparso.
Fin dalle prime immagini Bambi si mostra per quello è: un’esperienza irripetibile. Nei disegni di Tyrus Wong, ispirati ai paesaggi della dinastia Song, la foresta ha una qualità lirica e misteriosa. Le figure, spesso ritratte in silhouette, spiccano in netto contrasto sugli sfondi e le rapide pennellate di Wong animano quei panorami di pochi dettagli, che sono però quelli essenziali. Walt Disney, si racconta, se ne innamorò a prima vista, scartando tutte le prove precedenti che tendevano invece a fare il verso a Biancaneve, con colori accesi e infiniti particolari.
Proprio nella sua poesia, il mondo di Bambi fa ridere (riguardatevi il cerbiatto che si avventura sul ghiaccio, tanto per dirne una) ma al tempo stesso inquieta. La spensieratezza di Biancaneve e gli elementi fantastici e coloratissimi di Fantasia sono lontani anni luce. Emotivamente ci troviamo piuttosto dalle parti di Dumbo, che esce solo un anno prima. I colori sono trattenuti, i cacciatori sempre in agguato, il dolore non si cancella.
Chissà fino a che punto Tyrus Wong – separatosi dalla madre a dieci anni per emigrare con il padre in America, segregato bambino a Angel Island (il punto d’arrivo degli immigrati orientali) e da adulto a lungo ignorato e discriminato perchè cinese – si è identificato con questo film.
Non ci sono invece dubbi sulla natura delle ombre che, secondo Salten, popolano la foresta del cerbiatto. Sionista, opinionista sul giornale Die Welt di Theodor Herzl (oltre che autore del memoir pornografico Josefine Mutzenbacher), nel suo Bambi – uscito a puntate sul quotidiano viennese Neue Freie Press e poi pubblicato in volume nel 1923 – Felix Salten esplora in chiave metaforica molti temi chiave dell’universo ebraico del tempo.
Il più evidente è la persecuzione. Fin dalle prime battute è chiaro che gli umani, i cacciatori, sono sempre in agguato e la minaccia di morte incombe su tutti gli abitanti del bosco che, secondo molti critici rimanderebbero gli ebrei. In questa chiave, l’uccisione della madre di Bambi è solo l’epilogo di una lotta secolare destinata a non avere fine.
Nell’universo di Bambi, la persecuzione come realtà quotidiana si accompagna all’esperienza dell’esclusione e della discriminazione. E, sostiene qualcuno, anche alla critica all’assimilazione. Il cugino di Bambi che torna nella foresta dopo un periodo di cattività fra gli uomini è cambiato per sempre, non in meglio. Ancora, “Quando la smetteranno di perseguitarci?”, si domandano i cervi. Qualcuno spera nella riconciliazione con gli uomini, ma il più anziano ha perso ogni speranza. Gli uomini “non ci hanno mai dato pace e ci uccidono da quando esistiamo”, frase che sembra anticipare una futura presa di posizione sionista da parte di Salten. A queste condizioni, l’unica risposta sembra venire dal principe della foresta, titolo regale che allora molti autori sionisti tributavano a Herzl.
Purtroppo Felix Salten, che dopo l’Anschluss dell’Austria al Terzo Reich si era rifugiato in Svizzera dove sarebbe morto nel 1945, avrebbe sempre considerato il film come “il Bambi di Disney”. A turbarlo, più che questioni artistiche o ideali, furono ragioni contrattuali. L’autore, il cui lavoro nel 1936 venne messo al bando dalla Germania nazista, tre anni prima ne aveva venduto per mille dollari i diritti al regista americano Sydney Franklin che a sua volta li aveva ceduti a Walt Disney.
Da quest’ultimo Salten non ottenne mai quello che riteneva un giusto corrispettivo per la sua opera né i suoi eredi non ebbero migliore fortuna. Come scrisse un giudice della California nel 1996, Bambi aveva dovuto imparare molto presto nella vita che il bosco era pieno di pericoli. “Sfortunatamente, il suo creatore non poteva sapere che condizioni altrettanto pericolose sono in agguato nel mondo del diritti d’autore”.
Daniela Gross