…democrazia

Ci sono società nelle quali si è sviluppata una forma di potere politico che ha sotto varie forme interpretato in maniera più o meno perfetta il concetto di totalitarismo. Si tratta dell’aspirazione a controllare completamente tutti gli ambiti della società: l’amministrazione, l’informazione, l’istruzione, la cultura, l’associazionismo, lo sport. Tutto indirizzato verso una dimensione di verità unica, di differenziazione netta con gli “altri”, con i “nemici”, che possono essere esterni, ma anche e soprattutto interni. In quel caso assumono la denominazione scomoda e inaccettabile di “traditori”. I totalitarismi si sono sviluppati su base ideologica o religiosa. Il fascismo mussoliniano (che ci riuscì solo in parte stando al dibattito storiografico, ma fece scuola), il comunismo staliniano, il nazismo hitleriano, ancora il comunismo nelle versioni cinese, albanese, cambogiana, nord-coreana, cubana, e poi il fascismo franchista, cileno. E le esperienze dittatoriali africane, più articolate nelle motivazioni ideologiche, ma dagli esiti non molto differenti. Infine – più di recente ma mica tanto, ufficialmente a partire dalla “rivoluzione khomeinista” del 1979 in Iran – il totalitarismo islamista nelle sue varie declinazioni, ultima delle quali è il califfato di Al Baghdadi. La civiltà ebraica ha sempre subito questa dinamica; non si tratta di riproporre l’interpretazione vittimistica della storia degli ebrei come vicenda “lacrimosa”, ma è fondamentale mettere in luce alcune sue caratteristiche strutturali. Di certo la sua condizione diffusa di minoranza diasporica l’ha esposta primariamente alla violenza totalitaria, che per definizione non accetta l’esistenza di minoranze incontrollabili. La sua caratteristica poi di gruppo particolarmente articolato al suo interno, con interpretazioni differenti e un pluralismo accentuato ha aggravato l’immagine di “pericolosità” dell’ebreo agli occhi di ogni totalitarismo. L’antisemitismo è insito in ogni potere totalitario. Attenzione però, proseguiamo nel ragionamento per verificare come in effetti nessun gruppo umano sia immune alle tendenze totalitarie.
Ci sono teorie politiche che sostengono che lo Stato moderno viene spinto a più riprese in maniera inesorabile verso forme di totalitarismo. È spinto cioè a cercare un controllo totale della società. La democrazia è probabilmente l’antidoto ad oggi più efficace a questa tentazione, ma non è detto sia sempre efficace. È noto infatti che i maggiori esempi di dittatura totalitaria siano sorti nella storia non per imposizione militare o con azioni di forza, ma proprio attraverso più o meno regolari processi democratici. Mussolini e Hitler sono giunti al potere per via elettorale, Stalin si trovò a capo di un impero nato dopo una rivoluzione certamente manovrata su base ideologica, ma in ogni caso popolare. La democrazia è di certo necessaria e utile, ma non sempre è sufficiente. Il suo punto debole è dato dall’illusione (pericolosa per la stessa democrazia) che il potere e le sue decisioni politiche siano sempre legittimate dalla scelta della maggioranza, che renderebbe in qualche modo superflua la posizione politica delle opposizioni. In realtà la forza della democrazia risiede nella sua capacità di far funzionare sempre e comunque (a prescindere dal colore di chi vince le elezioni) un articolato sistema istituzionale che garantisce libertà di espressione a tutte le componenti della società, impedendo quindi l’affermarsi di un pensiero unico. Anche lo Stato d’Israele, che rappresenta ai miei occhi la novità storica più significativa nella vicenda del popolo ebraico negli ultimi duemila anni, è sottoposto in questo senso alle stesse tensioni che caratterizzano ogni stato politico moderno. Fino ad oggi esso ha saputo difendersi molto bene dalle tentazioni totalitarie, nonostante la presenza di elementi che spingono in questo senso (un forte esercito, spinte ideologiche visibili, perfino tentazioni teocratiche). È di queste ore una sentenza strabiliante, soprattutto per il contesto in cui è stata espressa, quel Medio Oriente in cui la vita dell’essere umano vale meno di zero, dove si muore nell’indifferenza del mondo su base quotidiana: un tribunale ha condannato un soldato israeliano per aver sparato a un terrorista ormai neutralizzato ma non morto, uccidendolo. È solo l’ultimo esempio, ma significativo, di una società che ha saputo creare al suo interno delle strutture istituzionali forti che si contrappongono con efficacia alla tentazione totalitaria (difficile pensare un evento del genere nella Turchia di Erdogan, per esempio). La forza della democrazia in Israele è un fatto, ma non per questo si può pensare che la tentazione del “pensiero unico” sia debellata. Il continuo uso nella società civile (e purtroppo anche in molti luoghi del mondo ebraico non israeliano, compresa la realtà italiana) di concetti come “nemico” o “traditore”, è il segnale di una diffusa volontà di omologazione, il pericoloso preludio alle tendenze totalitarie. Un esito, quello del totalitarismo, che sarebbe di per sé una negazione dell’anima stessa dell’ebraismo, oltre che un’offesa alla sua storia plurimillenari.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

(6 gennaio 2017)