Levi papers – Le notti

belpolitiI fogli dattiloscritti recano il numero 19. Vanno aggiunti al capitolo Le nostre notti. Levi ha battuto a macchina due fogli e ha indicato la giuntura con l’edizione del 1947 in fondo al dattiloscritto. Per questo ha ribattuto quello che nell’edizione del 1947 di Se questo è un uomo è l’inizio del capitolo: “D’inverno, le notti sono lunghe… [segue come a pag. 52]”. Ora i due fogli precedono quell’inizio. L’aggiunta del 1958 cambia il significato del capitolo. Nel primo foglio Levi fa un riassunto dei fatti (“Dopo venti giorni di Ka-Be, essendosi la mia ferita praticamente rimarginata, con mio vivo dispiacere sono stato messo in uscita”); poi racconta cosa avviene dopo la sua uscita dalla infermeria. Il nuovo inizio di capitolo ricorda quello de Il greco nella Tregua, dove c’è un’altra dimissione dall’infermeria, quella del Campo Grande di Auschwitz. Due differenti uscite da un luogo protetto, che hanno qualcosa di simile. Nel secondo foglio aggiunto a Le nostre notti – quello di cui mi occupo qui – c’è l’entrata in scena di Alberto, il personaggio principale insieme a Primo Levi del libro. Nella edizione del 1947 Alberto è già presente. Compare nel capitolo senza alcuna presentazione: “Ora sono in piena lucidità, e mi rammento anche di averlo già raccontato ad Alberto, e che lui mi ha confidato…”. Chi è Alberto? Un deportato come lui. Non dice nulla di più della sua persona, o del loro legame. Compare anche in Una buona giornata: Alberto ha avuto l’idea di trafficare la carta millimetrata, uno dei vari modi per sopravvivere, per avere più cibo. In Esame di chimica è citato tre volte; si arguisce che anche lui è chimico, o qualcosa del genere. In Krauss si parla di nuovo di Alberto; e ancora in Die drei Leute vom Labor. In L’ultimo, il capitolo più caliginoso del libro, Alberto si trova vicino a Primo e compare tre volte. Levi può scrivere “noi” anche perché c’è Alberto. Poi alla fine ricompare in Storia di dieci giorni, dove va a salutare il suo amico Primo nel momento della partenza: la marcia che lo porterà alla morte nel corso dell’evacuazione dal Lager. Sono tre citazioni in questo finale. Alberto è già in potenza un personaggio importante, ma nel 1947 non è ancora stato definito. Ora cambia tutto: “Alberto è il mio migliore amico. Non ha che ventidue anni, due in meno di me, nessuno di noi italiani ha dimostrato capacità di adattamento simili alle sue. Alberto è entrato nel Lager a testa alta, e vive in Lager illeso e incorrotto”. Queste sono le prime parole che aggiunge; sono anche le parole più belle che Levi scrive riguardo i compagni del Lager. Non è il solo che loda, ma si sofferma sulla sua persona in modo ampio. Un’amicizia importante. Questo inserto, che continua per quasi una pagina cambia tutto dal punto di vista narrativo. Con queste due pagine dattiloscritte, tratte dal Quaderno per Einaudi, Alberto è diventato un comprimario nel racconto. È il personaggio più importante insieme a Pikolo. Le parole che scrive nell’edizione del 1958 sono molto belle: “Lo sostengono intelligenza e istinto: ragiona giusto, spesso non ragiona ed è egualmente nel giusto”. Una figura moralmente incorrotta, come ha detto prima. Alberto è il contrario dei quattro personaggi che descrive nel capitolo I sommersi e i salvati. Non è un “salvato” e neppure un “sommerso”; è qualcosa d’altro. Forse è anche ciò che Levi vorrebbe essere, e in qualche misura è già nel racconto. Levi proietta su Alberto, sulla sua capacità di lottare (“è sceso in campo”), quello che lui è (quello che è stato là nel Lager e che è anche ora, seduto al suo tavolo mentre batte sui tasti della sua macchina per scrivere queste due pagine). Se non fosse così – fortuna a parte: “Per mia fortuna…” –, non sarebbe sopravvissuto. Levi stesso non è né un “sommerso” né un “salvato”. Come Alberto ha lottato per resistere, e ha cercato di conservarsi “illeso e incorrotto”. Non lo può dire. Forse non lo pensa neppure, o almeno non con questa chiarezza. Eppure non può che essere così. È il narratore in prima persona del libro che sta scrivendo, cui aggiunge parti decisive e importanti allegando questi inserti. Chi è stato Alberto lo dirà in modo esplicito solo in un racconto di Il sistema periodico intitolato Cerio, dove racconta un’altra impresa di Alberto per sopravvivere, un altro dei piccoli e geniali traffici che l’amico realizza a beneficio di entrambi. Qui dà la definizione precisa di Alberto in rapporto a se stesso: “Alberto era un simbionte ideale, perché si asteneva dall’esercitare la sua astuzia ai miei danni”. “Simbionte” sta per persona che vive in simbiosi (“vivere insieme”), parola di uso novecentesco, rara ma perfetta. Guardando il dattiloscritto si vede che, anche dopo aver battuto a macchina il testo aggiunto, Levi ha corretto. Ha sostituito la parola “ragione” con “intelligenza”. Forse per non creare una ripetizione nel brano, ma anche perché intelligenza è parola più precisa se riferita a una persona. Alberto comparirà ancora in un’altra aggiunta: tre pagine dattiloscritte accluse al capitolo L’ultimo edizione 1958, dove introduce nel punto più cupo del volume, un motivo più allegro incernierato sulla figura di Alberto e sui suoi traffici illeciti. Quel brano aggiunto si termina con una interrogazione retorica, quasi un allegretto andante: “Non è ben studiato?”. Una nota positiva, che si addensa intorno al simbionte. Se questo è un uomo grazie al personaggio-Alberto ha ora un passo narrativo in più. Primo Levi non è solo un testimone, è prima di tutto uno scrittore.

Marco Belpoliti, scrittore

(15 gennaio 2017)