La visita di Scola al Tempio di Milano
Ebrei e cristiani, il ruolo del Dialogo

Al di là delle parole, serve un dialogo tra le religioni che garantisca davvero la convivenza sociale e sia argine contro radicalismi, intolleranza e antisemitismo, anche quando ha il volto dell’odio per Israele. L’incontro nella sinagoga centrale di Milano tra la Comunità ebraica e il cardinale Angelo Scola, per la prima volta in visita al tempio, è stata l’occasione per ribadire l’amicizia reciproca tra le due realtà – ebrei e cristiani, con la necessità di coinvolgere anche i musulmani – ma anche per ricordare che al dialogo, in tempi di fanatismi e minacce terroristiche, devono seguire azioni concrete. Dalla tevah, rav Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano e presidente dell’Assemblea rabbinica italiana, ha ringraziato più volte il cardinale Scola per aver promosso lui stesso l’incontro. “Abbiamo percorso un lungo tratto ma c’è ancora un cammino da percorrere”, ha sottolineato il rav, ricordando nel suo intervento la Giornata del dialogo ebraico-cristiano e sottolineando come questo dialogo sia nato per “porre riparo a una lunghissima storia di incomprensioni che, in alcuni casi si sono trasformate in tragedie”. “Siamo certi che pur salvaguardando le differenze, – le parole di Arbib – saremo guidati dai valori che le nostre due religioni hanno trasmesso e che sono diventati patrimonio dell’umanità. La nostra aspirazione deve essere l’amore per la verità e la pace”. Un messaggio condiviso e declinato con diverse sfumature dagli altri interventi di saluto al cardinale, accolto oltre che dal rav, dai presidenti della Keillah milanese Raffaele Besso e Milo Hasbani, e dal vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Giorgio Mortara. A fare da cerimoniere, coordinando gli interventi – alternati dal canto di alcuni salmi da parte di rav Elia Richetti – Davide Romano, assessore alla Cultura della Keillah milanese.

A nome dell’ebraismo milanese, rappresentato in sinagoga da tutta la dirigenza comunitaria, il presidente Besso ha ricordato come oggi “il bersaglio del rinnovato odio antiebraico sia lo Stato di Israele” e fatto appello alla Chiesa a “difenderne l’esistenza, non solo perché rappresenta quei valori comuni su cui si fonda la nostra civiltà, ma anche per le radici che la fede cristiana ha in quella terra”. Azioni concrete, che si affianchino all’importante percorso del dialogo, sono state al centro del discorso della presidente dell’Unione Noemi Di Segni, letto al tempio dal vicepresidente Mortara. Di Segni ha sottolineato come “oggi le religioni sono chiamate ad agire con una responsabilità sociale ben precisa e i loro leader chiamati a essere un esempio per tutti i cittadini, a prescindere dalle singole appartenenze ideali, spirituali e culturali, per la difesa della convivenza all’interno delle nostre società”. Al dialogo con le varie realtà, anche al di là dei confini nazionali – come quello intrapreso dalla Chiesa anche con i palestinesi – è necessario affiancare chiare prese di posizione: “Il Vaticano ha fatto scelte importanti su questo fronte, con riconoscimenti che non spetta a noi giudicare, portati avanti attraverso scelte che è nostro augurio siano state attentamente meditate – le parole di Di Segni – Ma a queste attestazioni di fiducia e di apertura al dialogo, la preoccupazione del mondo ebraico è che corrispondano immediate condanne contro chi invece sceglie la strada della violenza, dell’istigazione all’odio, del terrorismo per colpire la pace a cui tutti aspiriamo, in Italia, in Israele e nel mondo”. A mettere in guardia da possibili ipocrisie anche il messaggio di rav Giuseppe Laras, rabbino emerito di Milano, il quale ha richiamato la centralità della Bibbia che ci “ha insegnato a declinare la libertà non in arbitrio -come invece testimoniano tristemente certe attitudini odierne – ma in responsabilità, accettando liberamente il giogo divino”.
Per Scola, nella “metropoli plurale” che è Milano cristiani ed ebrei sono chiamati “a un compito profetico. Quello di essere un terreno fecondo in cui possa mettere radici e svilupparsi l’incontro e il confronto tra i membri di tutte le religioni, a partire dagli altri figli di Abramo, i musulmani”. Rav Arbib, d’accordo sulla necessità di un confronto tra le religioni, ha però messo in luce come alla base di quest’ultimo ci debbano essere alcuni punti fermi, tra cui il riconoscimento del legame indissolubile tra ebrei e Gerusalemme: “Negare il nostro legame con quella città – ha ricordato – non significa attaccare una posizione politica ma l’anima, l’essenza stessa dell’ebraismo. E se si negano le radici non può esserci dialogo”.
“Preghiamo che Gerusalemme diventi sempre più la ‘Città della Pace – le parole del cardinale, che in apertura ha visitato assieme al curatore Alberto Jona Falco, la mostra fotografica ‘Grand Tour. Viaggio nell’Italia ebraica – per tutti gli uomini e le donne che amano la pace. Siamo perciò profondamente addolorati per le violenze e gli attentati esecrandi che ancora di recente hanno ferito la santa città, uccidendo giovani vite e profanando il Santo nome divino. Così come deprechiamo le espressioni di antisemitismo che si ripresentano, purtroppo, in Europa. La storia del popolo ebraico e di quello cristiano si ergono a indelebile prova che non si dà libertà per la verità che non sia, nello stesso tempo, verità della libertà. In questo cammino comune di testimonianza reciproca sarà inoltre possibile intercettare l’istanza profonda dell’uomo post-moderno”.

Daniel Reichel

(18 gennaio 2017)