Ferrara – Touch, toccare la Memoria

magriniAlbertina Bassani Magrini, Silvio Finzi, Silvio Magrini, Amelia Melli, Zaira Melli, Germana Ravenna, Marcello Ravenna, Lindo Saralvo, Maria Zamorani, Renato Castelfranchi.
Sono dieci dei circa 150 ebrei ferraresi che, tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944, rimasero vittime della follia nazista, come ricorda la lapide dove i loro nomi sono scolpiti, sulla facciata dell’edificio che, in Via Mazzini, ospita la Comunità ebraica e le sinagoghe.
Identità, volti, storie di donne e uomini, bambini e anziani brutalmente strappati alla vita, che ora il pubblico può conoscere più da vicino grazie all’installazione “TOUCH – Toccare alcune storie di cittadini ferraresi ebrei deportati”, promossa dal Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah – MEIS e dall’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara, con il patrocinio della Comunità ebraica di Ferrara, in occasione del Giorno della Memoria.
Curata dai fotografi Piero Cavagna e Giulio Malfer, TOUCH verrà inaugurata martedì 24 gennaio, alle 18, presso la sede del Museo (Via Piangipane 81, a Ferrara), nel tentativo di far comprendere come la tragedia della Shoah si componga di tante vicende individuali improvvisamente interrotte e sottratte a tutti noi. A dare voce alle biografie protagoniste dell’installazione sono una narrazione testuale, che racconta in prima persona il vissuto dei dieci ebrei ferraresi, e le loro foto, ricoperte da uno strato di inchiostro termo-cromico nero, ma non per questo consegnate all’oblio, anzi: entrando letteralmente in contatto con quelle immagini, il calore delle dita dei visitatori può riportarle alla luce, almeno temporaneamente.
A ricomparire e ricordare ciò che è stato sarà Silvio Magrini, presidente della Comunità Ebraica di Ferrara fino al 1943 e professore di Fisica all’Università di Bologna. Prelevato dai repubblichini mentre era ricoverato all’ospedale Sant’Anna, fu trasferito a Fossoli e poi deportato e ucciso ad Auschwitz, a 63 anni. E, accanto a lui, “TOUCH” mostrerà sua moglie, Albertina Bassani Magrini, patronessa dell’asilo e della scuola della Comunità Ebraica di Ferrara. Nel marzo del 1944, nella remota speranza di riuscire a raggiungere Silvio in Polonia e di trovarlo ancora vivo, Albertina si lasciò arrestare e terminò anche lei i suoi giorni ad Auschwitz, a 61 anni.
Poi ci sono l’ingegnere 67enne Silvio Finzi e il socialista Renato Castelfranchi, uniti nel tragico segno della “lunga notte del ’43” e della rappresaglia per l’omicidio del Federale Ghisellini, che risulterà fatale a entrambi. Dopo il rastrellamento del 15 novembre, Finzi viene scortato al carcere di Via Piangipane, al Tempio di Via Mazzini (allora luogo di raccolta degli ebrei destinati ai campi di concentramento), a Fossoli e infine ad Auschwitz, da cui non tornerà più. Esattamente come Castelfranchi, dopo una vita dedicata alla difesa dei contadini e alla Camera del lavoro.
Ad Amelia Melli tocca una destinazione diversa, ma un destino non meno crudele e a soli 20 anni. Respinta alla frontiera svizzera nel dicembre 1943, viene fermata a Domodossola, spostata nel penitenziario di Ferrara e poi in quello di Portomaggiore, riservato alle donne, dove una dissenteria acuta pone fine alla sua brevissima esistenza.
Ancora più giovane di Amelia è Marcello Ravenna, appena quindicenne. Nemmeno lui riesce a varcare il confine con la Svizzera e da lì ad Auschwitz-Birkenau, per lui e i suoi familiari, il passo è breve. La sera del 26 febbraio supera la selezione ma, mentre sale sul camion per Monowitz, una SS cambia idea e lo manda alle camere a gas.
Le manette scattano ai polsi di Maria Zamorani, pediatra al Sant’Anna, il 22 aprile 1944. Ha 51 anni quando la spediscono a Fossoli, anche per lei anticamera di Auschwitz e di una morte atroce.
Lo stesso percorso senza ritorno attende l’elettricista Lindo Saralvo, che cade nelle mani dei militari italiani il 25 febbraio 1944. Dalla Sinagoga di Via Mazzini viene condotto a Fossoli e di lì, il 5 aprile, ad Auschwitz, data presumibile del suo assassinio.
La mamma di Lindo, Zaira Melli, risiede nella casa di riposo israelitica di Via Vittoria 79, dove si sente al sicuro. Invece viene tratta in arresto, caricata su un camion e portata a Bologna, nei sotterranei di un convento, dove il 12 gennaio 1945, a 81 anni, muore di freddo e di stenti.
Germana Ravenna, insieme alla madre Marcella, viene fatta prigioniera nel convento del Carmine, a Firenze. E quando potrebbe saltare giù dal treno diretto ad Auschwitz, e magari riuscire a salvarsi, rinuncia, per non lasciare sola la mamma. La mano nazista spezzerà la sua vita a 47 anni.
La mostra “Touch” potrà essere visitata fino al 28 febbraio, a ingresso gratuito, nei seguenti orari: martedì-giovedì 10-13 e 15-17, venerdì 10-15 e domenica 10-18.

Daniela Modonesi

(Nell’immagine l’ex presidente della Comunità ebraica ferrarese Silvio Magrini)

(19 gennaio 2017)