Il 27 gennaio
Il 27 gennaio è il Giorno della Memoria: ci si vincola il più possibile a questa data per non dimenticare. Eppure celebrarlo non basta. È come consultare un libro, ripassare una lezione di storia, pensarci su un attimo, e poi chiuderlo. Che cosa si è appreso? Sono sempre di più coloro che dubitano sulla realtà di questa tragedia, e non si può fare a meno di notare che la memoria della Shoah è insidiata, talvolta sottilmente, talvolta spudoratamente.
Man mano che i superstiti dell’eccidio scompaiono, si gettano ombre su questi avvenimenti. È come se la macchina di distruzione approntata un tempo dai nazisti fosse così efficace da inghiottire i testimoni della Shoah una volta usciti di scena, come se il nazismo continuasse a esercitare la sua opera di cancellazione e non si facesse abbastanza per contrastarla. Il marciatore ottantenne israeliano Shaul Ladany tornato vivo da Begen Belsen e scampato al massacro delle Olimpiadi di Monaco, ha partecipato a “Run For mem,” la corsa per la memoria organizzata dall’Ucei. Ha corso, infaticabile, come se gli rimanesse poco tempo e occorresse correre, affrettarsi, lasciare una traccia, prima che sia troppo tardi. Come se le belve fossero sempre in agguato.
Perché la Shoah, invece di stabilirsi sempre di più nel cuore di ciascuno, viene da alcuni addirittura derisa o disprezzata? Cosa spinge di nuovo contro gli ebrei, visti con odio o perlomeno con freddezza, come se si fosse già dato e ora altre tragedie più attuali catturassero l’attenzione? Ad esempio la sorte dei profughi o altro? Impresa più che legittima aiutare i migranti, purché non sia connessa alla voglia di privare la Shoah di quel riconoscimento che è indispensabile per loro e per tutti. Non riconoscendola ci si annulla come esseri umani-pensanti, ci si degrada appunto. La Shoah esige che incessantemente la si guardi, senza timore, con il coraggio di pensare che sì, i martiri dei campi di sterminio sono davvero morti tutti ma anche davvero sono vivi in ciascuno di noi. Qui si tratta della sopravvivenza della Shoah in noi come luogo dei vivi, di coloro che grazie alla nostra memoria continuano a esistere.
Ci sono gesti di Israele che suscitano nel mondo, non una semplice critica purtroppo ma un grande fastidio, come l’allargamento degli insediamenti nella Gerusalemme l’est. E una stretta amicizia con un uomo come Trump da una parte potrebbe garantire militarmente Israele, semmai ne abbia bisogno, dall’altra produce un fastidio ancora più violento verso di essa. L’antisemitismo si scatena facilmente e si diffonde, infiltrandosi nelle scuole, nelle università, ovunque ma soprattutto in direzione dei giovani che non hanno vissuto da vicino la tragedia della Shoah. Ciò non toglie che nei secoli, ben prima di Israele, quando gli ebrei erano oppressi, l’odio verso di loro è egualmente cresciuto, si sono trovate altre scuse per perseguitarli, e c’è da credere quando non le si fossero trovate molti si sarebbero inferociti ancora di più proprio perché non ne trovavano. Insomma, c’è sempre qualcosa da rimproverargli, qualcosa da far loro pagare. Triste mestiere. In realtà, una sacrosanta realtà, noi tutti dobbiamo ricordarci cos’è la Shoah: l’espressione di un antico odio nei riguardi di un popolo, che può spostarsi su un altre etnie, e invitare a nuovi massacri, come in parte già è avvenuto, e che quest’orrore riguarda dunque noi tutti e potrebbe investire altri e va elaborato da tutti senza distinzione, al più presto.
Tiziana Della Rocca
(26 gennaio 2017)