Il Giorno della giornata

Sara Valentina Di Palma“È strano – scriveva Jerome K. Jerome introducendo le avventure de Tre uomini in barca (per tacer del cane) – ma non mi avviene mai di leggere un annuncio di specialità brevettate, senza sentirmi tratto alla conclusione d’essere affetto dalla peculiare malattia (nella sua forma più virulenta) che forma il soggetto dell’annuncio”, per scoprire di avere tutte le malattie note, tranne il ginocchio della lavandaia. Può essere che questa leggera ipocondria ci accomuni, fatto sta che ultimamente soffro di un fastidioso disagio, simile a quello da molti provato nel sentire il rumore di un gesso stropicciato sulla lavagna, o dei rebbi della forchetta tra i denti serrati.
A me, piuttosto che un suono provocato da oggetti, risultano molesti i rumori verbali: l’uso improprio, nonché l’abuso, della nostra lingua. L’eccesso di anglismi, ad esempio, di cui discuteva il compianto linguista Tullio De Mauro su Internazionale il 14 luglio scorso, non mi pare affatto cool. Mi irrigidisco sentendo condizionali e congiuntivi utilizzati a caso – meglio allora, reputo, non usarli proprio. Ma se c’è qualcosa che mi lascia veramente sgomenta, e che ogni anno dilaga come un’epidemia sempre più incontrollabile, è sentire la locuzione “Giornata della Memoria”. Ecco, sono riuscita a scriverlo nonché a pronunciarlo mentalmente.
Con crescente disappunto l’ho trovato non solo in rete, dove si sa circola anche tanta spazzatura, ma (in un climax crescente di orrore): nel programma delle iniziative della biblioteca della mia città. Nelle iniziative del più importante museo italiano. Nelle parole di un affermato storico (quale dolore) per giunta ebreo e, a pari demerito, nella prima pagina del pregevole inserto culturale domenicale del principale quotidiano economico italiano.
Giornata della Memoria. Perché? Per quale ragione sempre più spesso? Come mai non attenersi all’unica, appropriata definizione di Giorno della Memoria?
Un’ottima ragione oggettiva esiste, ed è sulla carta: questo è il suo nome, quello che le è stato dato. Legge 20 luglio 2000, n. 211, Gazzetta Ufficiale n. 177, 31 luglio 2000: “Istituzione del Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”. Sic et simpliciter.
Ne trovo poi, guardando bene dentro me stessa, una probabilmente soggettiva e di cui mi assumo tutta la responsabilità: non è che alle orecchie dei più (e purtroppo poi anche alle bocche ed alle penne che lo propagano) il termine Giornata è un vocabolo di maggiore immediatezza, per associazione inconscia con la Giornata europea della Cultura Ebraica? La quale Giornata ha invece un animo sì culturale, ma festoso e ludico? E ridurre il Giorno della Memoria ad una Giornata, non significa di fatto un po’ banalizzarlo, un po’ trivializzarlo – cosa che avviene peraltro in misura crescente nelle scelte commemorative scandite dallo slogan del ‘mai più’ spesso infarcito di ovvietà? Questa mia personale e soggettiva seconda motivazione è probabilmente debole ed attaccabile da più parti. Giornata sembra derivare etimologicamente da un francesismo connotante sia il viaggio di un giorno, sia un fatto d’armi, a partire dalle tre glorieuses journées della rivolta di Parigi nel luglio 1830. Parola più antica e nobile, è giorno, già apparso nel XII secolo, usato da Francesco D’Assisi e Dante Alighieri…e se lo hanno fatto proprio il sommo poeta italiano ed il patrono principale d’Italia, usiamolo anche noi, vivaddio!
Ma se anche codeste argomentazioni venissero demolite da validi ed agguerriti difensori dell’espressione “Giornata della Memoria”, punto i piedi, mi batto il petto e mi aggrappo al rispetto delle leggi, e la gran parte degli italiani, brava gente si sa (come ci ricordava già diversi anni or sono David Bidussa in Il mito del bravo italiano, il Saggiatore 1994), in questo è integerrima – lo so, avrei potuto scrivere anche “la gran parte degli italiani sono”, ma le concordanze a senso mi provocano ansia.
Confido, anch’io, di trovare un medico fidato il quale, al pari di quello del nostro scrittore in barca, mi rimetta in salute con “1 pinta di birra amara ogni sei ore [rilasserebbe]. 1 passeggiata di dieci miglia tutte le mattine [come ritrovare la forma fisica dopo il quarto figlio]. 1 letto alle 11 in punto tutte le sere [incompatibile con la constatazione precedente: avere quattro figli]. E [soprattutto] non t’ingombrare la testa di cose che non capisci”.

Sara Valentina Di Palma

(26 gennaio 2017)