Società – Memoria, impegno senza fine

memoriaAuschwitz è un simbolo potente. Ogni anno il luogo nel quale sorgeva il più grande campo di sterminio nazista viene visitato da più di un milione di visitatori, decine di migliaia dei quali provengono dall’Italia. C’è un’intera generazione ormai figlia del profondo significato che quel luogo ha assunto nel nostro tempo, figlia dei viaggi della memoria. Che cosa cercano quei ragazzi ad Auschwitz, che cosa cerchiamo tutti noi? Che storia ci racconta? Piotr Cywinski, direttore del Memoriale e Museo di Auschwitz-Birkenau, in un libro duro e necessario presentato a Milano grazie alla Fondazione CDEC e alla Fondazione Binario 21, si confronta con queste domande e con i dilemmi che si nascondono in uno dei luoghi più terribili della storia dell’umanità. Settant’anni dopo la fine della guerra, Auschwitz ormai parla ai nipoti e ai bisnipoti di chi visse quell’immane tragedia, di chi la vide o non la volle vedere, di chi la mise in atto. Ed è diventata anche un simbolo, il luogo dove si cristallizzano le domande irrisolte che la Shoah porta con sé. La responsabilità della trasmissione del suo messaggio al mondo è enorme e va pensata con cura perché Auschwitz è molte cose, non una sola, e non appartiene solo a qualcuno, ma all’umanità intera. Non è solo lo sterminio sistematico degli ebrei d’Europa, non è solo l’attuazione di un’aberrante teoria razzista: Auschwitz ormai trascende la sua storia e parla direttamente a noi, ora e qui, proprio nel mondo in cui viviamo, perché in quel luogo, scrive Cywinski, «l’Europa perse se stessa». Auschwitz è un monito che viene dal passato, e il suo messaggio – il suo urlo lacerante – per quanto complesso e doloroso, è più che mai necessario per pensare al nostro futuro. Piotr M. A. Cywinski (1972), nato a Varsavia, laureato in storia a Strasburgo, è direttore del Memoriale e Museo di Auschwitz- Birkenau dal 2006. Già presidente dell’Associazione degli intellettuali cattolici di Varsavia, è attivo partecipante del dialogo ebraico-polacco e cristiano- ebraico. Dal 2007 è membro del Consiglio polacco dei cristiani ed ebrei e nel 2008 è stato ambasciatore dell’Anno internazionale del dialogo interculturale. Dal 2005 al 2014 è stato direttore del Consiglio del Centro internazionale per l’Educazione su Auschwitz e l’Olocausto. Non c’è una fine. Trasmettere la memoria di Auschwitz (ed. orig. Epitafium, 2012) è il suo primo libro tradotto in italiano. “Se dovessi scegliere la frase di esordio più appropriata – scrive l’autore nell’introduzione – sceglierei le parole scritte qui sopra o qualcosa di molto simile. La storia iniziò negli anni trenta del Novecento, ma fu nei primi anni quaranta che prese drammaticamente il suo slancio più feroce. Le prime frasi caddero dalle labbra dei testimoni, specialmente da quelle di coloro cui il fato non permise di recitare fino in fondo il loro ruolo mortale. I capitoli successivi vennero aggiunti da giornalisti e diplomatici, terrorizzati dallo scenario che si svelava loro in dispacci e altri rapporti. Poi, molto tempo dopo, altri furono scritti da storici, pensatori e insegnanti. Con queste parole il conte Edward Bernard Raczyński, all’epoca ministro degli Affari Esteri del governo polacco in esilio, iniziò il suo discorso alla radio. Si era pochi giorni prima di Natale, giovedì 17 dicembre 1942. A Londra. La guerra infuriava. La Germania aveva occupato praticamente l’intera Europa, e il mondo seguiva avidamente le notizie provenienti dal fronte. La battaglia di Stalingrado stava entrando nella fase più critica e l’implacabile inverno continentale si stava rivelando un fattore decisivo. Per la prima volta il potere del leader del Terzo Reich, il Führer Adolf Hitler, mostrava segni di debolezza. All’epoca, pochi nel mondo libero si interessavano al destino della popolazione civile che viveva da qualche parte nell’Europa centrale sotto l’occupazione tedesca, essendo una questione di scarsa rilevanza tattica. Quasi tutto sembrava dipendere dal fronte sovietico. Eppure proprio ciò che allora stava accadendo nelle foreste e vicino ai binari delle ferrovie avrebbe avuto sul futuro dell’Europa un impatto enorme, di gran lunga maggiore rispetto al destino delle divisioni e degli eserciti sacrificati uno dopo l’altro sull’altare della vittoria o su quello della sconfitta dagli strateghi militari. Era là, lontano dalla linea del fronte, nei campi e negli altri luoghi della Shoah, che la buona vecchia Europa abbandonò tutto ciò che aveva rappresentato: fede, umanesimo, rispetto per l’individuo, il primato del diritto e della coscienza umana. Era là che una tragedia europea davvero senza precedenti si stava realizzando. Un volto della vecchia Europa era irrimediabilmente perduto. Da oltre un anno i tradizionali distretti ebraici e gli shtetl dell’Europa occupata dai tedeschi erano stati progressivamente trasformati in ghetti, e questi ghetti erano diventati gradualmente liste di trasporti in base alle quali persone innocenti venivano portate in un luogo in cui venivano assassinate, mentre i loro corpi venivano trasformati in cenere. La macchina dello sterminio prendeva rapidamente slancio, i tedeschi stavano creando metodi di assassinio di massa sempre più moderni ed efficienti. La Shoah stava distruggendo madri ebree, padri, fratelli e sorelle, nonni e nonne. Il loro mondo stava completamente sparendo. Grazie agli sforzi del governo polacco a Londra, il 17 dicembre 1942 la Camera dei Comuni inglese, prendendo atto delle decisioni prese in contemporanea a Mosca e a Washington, adottò e annunciò una dichiarazione dei dodici stati alleati che riguardava la responsabilità tedesca per i crimini commessi contro gli ebrei d’Europa. Era la prima condanna internazionale, ufficiale e pubblica, della Shoah, diffusa in simultanea nelle capitali degli stati alleati. Nonostante ciò, la questione ebbe scarsa eco sulla stampa del mondo libero, e la maggior parte dei giornali le dedicarono solamente poche frasi, nelle ultime pagine. Quello stesso 17 dicembre 1942 i tedeschi trasportarono ad Auschwitz qualcosa come duemila ebrei dal ghetto di Płońsk. Il paradosso storico è che Płońsk, città della provincia polacca, è anche il luogo in cui era nato nel 1886 Dawid Grün, meglio conosciuto come David Ben Gurion, che più tardi, nel 1948, avrebbe giocato un ruolo importante nella creazione dello Stato di Israele”.

Pagine Ebraiche, gennaio 2017