Società – Contro i selfie della Memoria

memoriale berlino“Il tempo passa, ed è impietoso. Man mano che la storia si allontana, tutto diventa una Disneyland dell’orrore.” In una grande intervista a Pagine Ebraiche nel marzo 2014, Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz quando era solo una ragazzina, lanciava un monito duro contro l’idea di concepire una visita ai campi di sterminio alla stregua di una “gita”, esperienza per divertirsi, scattare fotografie, costruire piacevoli ricordi con gli amici. Negli ultimi anni, con l’esplosione della società del selfie, e dell’apparire per essere, gli episodi di leggerezza dei comportamenti nei luoghi di Memoria si è decuplicata. Denunciare questa tendenza sarebbe anche l’intenzione di Shahak Shapira, scrittore e umorista ventottenne di nazionalità israelo-tedesca. E tuttavia, c’è da chiedersi se il suo progetto, che negli scorsi giorni è stato ripreso dai media di tutto il mondo, non finisca per provocare esattamente l’effetto opposto. Magari ancora una volta a caccia di visibilità, sicuramente ottenuta.
Shapira ha infatti scelto alcune fra le migliaia di fotografie allegramente (in senso letterale) scattate al Memoria della Shoah di Berlino, la struttura di 2711 blocchi di cemento firmata dall’architetto Peter Eisenman e dall’ingegnere Buro Happold. Dopo di che, le ha modificate elettronicamente, inserendo come sfondo immagini che documentano i crimini nazisti. Così una ragazzina sorride a gambe all’aria con uno sfondo di cadaveri alle spalle, e un giovane giocoliere fa roteare le sue palline rosa di fronte a una fossa comune. Le opere sono finite nel sito del progetto, che Shapira ha scelto di denominare “Yolocaust”, fondendo la parola Holocaust con l’acronimo inglese YOLO (You Only Live Once).
Le sue immagini sono diventate velocemente virali. Alcuni hanno espresso apprezzamento per la provocazione, ma Shapira ha ricevuto anche molte critiche. Incluse quelle dello stesso Eisenman. “Penso sia terribile. La gente salta qua e là sui pilastri di cemento da sempre. Prendono il sole, pranzano, e non credo ci sia niente di male,” ha dichiarato l’architetto alla BBC, aggiungendo che “un Memoriale è un posto di tutti i giorni, non un luogo sacro. Sotto il mio, non ci sono morti. L’idea era quella di aprirlo a persone di diverse generazioni, ciascuna a suo modo, pronta o meno ad affrontare il concetto di trovarsi in quello specifico luogo”.
Cautela è stata espressa da Karen Pollock, che guida l’organizzazione londinese Holocaust Education Trust, che si occupa di insegnare i temi della persecuzione e dello sterminio ad adolescenti e giovani adulti. Pur definendo “potenti” le immagini costruite da Shapira, Pollock spiega che le nuove generazioni “non vanno castigate per il loro affrontare le esperienze in modo diverso che in passato”.
Shapira difende la sua idea. “Sento molti ragazzi ripetere che non si sentono colpevoli e non si vogliono sentire colpevoli. Sono preoccupato nel vedere che tanti non capiscono l’importanza di questi memoriali. Pensano che non li riguardino, che non siano per loro, che siano per gli ebrei, per le vittime, e invece sono per la gente di oggi, per il loro senso etico, perché sappiano che non devono eleggere gente con i capelli tagliati alla Hitler, perché potremmo finire esattamente dove eravamo ottant’anni fa” ammonisce il ventottenne.
Resta però da chiedersi se la sua stessa opera, quell’accostare selfie e immagini dell’orrore, non possa essere letto esattamente nella maniera contraria: un altro scherzo sulla Shoah, ennesimo esempio della sua banalizzazione.

rt