Al Quirinale per la Memoria viva

Una Memoria viva. Una Memoria consapevole. Una Memoria che sappia raccontare il passato in tutta la sua complessità, senza sconti e senza autoassoluzioni.
È il messaggi che arriva in queste ore dalla tradizionale cerimonia per il Giorno della Memoria al Quirinale, la casa di tutti gli italiani, svoltasi come di consueto alla presenza di numerose scolaresche e delle più alte cariche dello Stato.
Nelle parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in quelle del ministro Valeria Fedeli e della presidente UCEI Noemi Di Segni il richiamo all’urgenza di un lavoro sempre più intenso nel mondo della scuola e della formazione, ricordato oggi anche con la premiazione delle classi vincitrici del concorso “I giovani ricordano la Shoah”, e all’analisi sempre più approfondita di una stagione di negazione della libertà e dei più elementari diritti in cui l’Italia, promulgatrice già nel ’38 delle Leggi Razziste, ebbe certamente un ruolo di primo piano.
Un lavoro sempre più urgente, un lavoro che segnerà i mesi che porteranno, nel settembre del prossimo anno, alla realizzazione di numerose iniziative per gli 80 anni di quell’infamia.
Riflessioni e temi condivisi anche nella relazione del professor Andrea Riccardi, che ha aperto la commemorazione, e nelle poche ma profonde parole pronunciate dal Testimone Joseph Varon, uno dei pochi ebrei di Rodi sopravvissuti alla Shoah. “Studiate, informatevi” il suo monito ai tanti ragazzi accorsi oggi da tutta Italia sul Colle.
A condurre la cerimonia l’attore Luigi Diberti, mentre la pianista Monica Ferracuti ha eseguito brani musicali di Felix Mendelssohn tratti dai “Lieder ohne Worte”. Ad essere lette anche le poesie “C’è un paio di scarpette rosse” di Joyce Lussu e “La notte” di Elie Wiesel, mentre Vittoria Bublil e Yuri Tagliacozzo hanno letto due lettere dei rispettivi nonni, entrambi sopravvissuti. Gli studenti Aurora Pedrini e Giosuè Fulli, presenti al Viaggio della Memoria MIUR-UCEI ad Auschwitz, hanno raccontato la loro esperienza.
Memoria per il futuro, Memoria per la difesa della democrazia e dei valori fondamentali. Questo il messaggio che arriva anche dall’appello che i partecipanti al convegno “Legge e legalità – Le armi della democrazia” hanno rivolto nelle scorse ore ai capi di Stato che si riuniranno a Roma in marzo per i 60 anni dalla firma dei Trattati da cui prese avvio il sogno europeo.
Un appello presentato ieri dalla Presidente UCEI e di cui pubblichiamo oggi il testo.

(Nell’immagine la premiazione del concorso “I giovani ricordano la Shoah”)

L’INTERVENTO DELLA PRESIDENTE UCEI NOEMI DI SEGNI

Presidente Mattarella,
Signora Ministra (Signor Ministro, Signori Ministri)
Autorità
Cari ragazzi
Cari testimoni e sopravvissuti della Shoah
Cari amici,

Vi domando: quale relazione c’è tra un passato millenario e un futuro sognato?
In un punto determinato, su un lunghissimo arco temporale, c’è il giorno in cui abbiamo assistito al miracolo della nascita dei nostri figli, il dolore per la perdita di un nostro genitore, il primo giorno di scuola, il primo giorno al posto di lavoro. C’è creazione di sapere e di cultura. E forse mi risponderete: i punti in cui ci sentiamo parte di un insieme, la storia di un popolo, di una nazione, la vita di una umanità intera.
Su un determinato segmento del medesimo arco temporale c’è la memoria di una vita negata a tanti singoli e al popolo ebraico. Distruzione di sapere e di cultura. C’è la Shoa.
La Shoah, nella sua drammatica unicità, rappresenta il paradigma dell’orrore cui può esser giunto l’uomo, e che un essere umano, per il suo credo, può aver subito.
Ricordarla è un imperativo cui anche l’Italia ha aderito da 17 anni.
Il monito, che portiamo nei nostri cuori ogni giorno e nelle solenni ricorrenze, di ricordare precisi avvenimenti, per noi ebrei, riguarda un passato ed un vissuto di oltre quattromila anni: l’uscita dalla schiavitù dell’Egitto, la distruzione del Tempio di Gerusalemme, perpetrata dai Babilonesi e poi dai Romani con la conseguente deportazione e la diaspora; la persecuzione medioevale di matrice religiosa e l’Inquisizione; i Pogrom dell’est Europa; la fuga disperata, nel corso del ‘900, di centinaia di migliaia di ebrei dai Paesi arabi, culminata con il grande esodo del 1967, e poi, dopo la Shoah, la minaccia costante alla vita dello Stato ebraico, di Israele.
Tutti questi eventi sono collegati tra loro da un comune denominatore: il rifiuto di accettare l’Altro, in questo caso un popolo fiero dei propri valori, della propria storia, della propria identità. E il tentativo di spazzarlo via, per distruggere quella “alterità” di cui invece è costituita l’intera umanità, e il cui rispetto rappresenta l’architrave dei diritti umani così come oggi li conosciamo.
Illustre Presidente, con emozione intervengo in questa prestigiosa sede – il Quirinale – la casa di tutti gli italiani e nella quale è, e deve essere, assicurata la tutela dei fondamentali diritti dell’uomo. Il primo in assoluto il respiro della vita.
Salvaguardiamo la memoria dei luoghi di violenze, sterminio e di morte, ma anche la memoria della vita, perché in quegli anni la vita si è voluta a tutti i costi, in tanti frantumi, di spazio e di tempo. Si è voluta per un futuro, anche se ignoto.
Contrastare ogni primaria espressione e forma di razzismo e antisemitismo, tutelare il pluralismo delle idee e delle culture, salvaguardare i diritti di ogni persona, qualunque sia la sua identità culturale, etnica, religiosa, è un monito e un principio posto con forza nella nostra Costituzione così come nella dichiarazione universale sui diritti dell’uomo.
Con lo sguardo verso quell’orizzonte futuro, occorre ricordare quanto accaduto, per causa di ideologie devianti e criminali, di singoli e di masse. Occorre capire quale sia stato il risultato devastante di leggi varate e rigorosamente applicate, di un’aberrante legalità, della negazione di ogni principio e valore.
La Shoah è il risultato anche di tanti piccoli gesti, tante piccole connivenze, indifferenze e paure; di azioni e decisioni, vissute o assunte, che inizialmente furono sottovalutate, ma generatrici di inimmaginabile gravità.
Siamo rientrati pochi giorni fa dal viaggio della Memoria ad Auschwitz-Birkenau, organizzato dal MIUR, accompagnati dalla Ministra Fedeli, che ringrazio profondamente, e per il primo anno partecipato anche da una delegazione del Consiglio Superiore della Magistratura.
Per noi “visitatori”, l’incredulità e la convinzione di non poter resistere neanche ad una sola notte in quel luogo. Mentre ascoltavamo con lacrime soffocate i racconti delle sorelle Bucci, mentre i nostri occhi si posavano sull’unica distesa di infinito bianco, noi tutti, eravamo uniti da due interrogativi che battevano nelle nostre tempie: come è possibile che questo sia esistito e accaduto? Come sarebbe stato il mondo di oggi se i sei milioni avessero vissuto e proseguito le loro vite?
Chissà quante altre musiche sarebbero state composte, altre invenzioni servita l’umanità, altri poeti e scrittori arricchite le nostre anime, altri bambini nati?
In una Europa oggi unita, che sta per celebrare il suo sessantesimo anniversario, e che si interroga sulla sua identità e i processi di integrazione, dobbiamo passare dalla narrazione all’azione. Interrogarsi sul ruolo delle organizzazioni internazionali, Educare, Essere. Essere interessati a conoscere e riconoscersi negli altri.
Dobbiamo lavorare insieme alle altre religioni per una società che sappia accogliere e rispettare ogni diversità, e sappia al contempo comprendere il pericolo insito negli “hate speech”, e nel fondamentalismo religioso. Fenomeni che attraverso le reti sociali si propagano ancor più lontano e ancor più velocemente. I gravissimi attentati terroristici subiti in diverse città e contesti, cuore della società civile, ci devono fare riflettere.
La nostra esperienza di ebrei presenti in Italia da oltre 20 secoli ci rende consapevoli del fatto che superare le diffidenze non è facile, ma è possibile; è possibile vivere integrati nella società sviluppando la propria cultura e senza perdere le proprie tradizioni, proprio perché il contributo di diverse componenti arricchisce la società di valori positivi.
E’ stato emozionante, solo pochi giorni fa, partecipare alla corsa per la memoria verso il futuro, attraverso i luoghi di snodo della persecuzione nella città di Roma. Ricordare attraverso lo sport, che unisce ed aggrega.
La straordinaria partecipazione di atleti, forze dell’ordine e cittadinanza, di tanti bambini, a questa iniziativa, testimonia la voglia di intrecciare il ricordo del passato alla vita futura.
Illustre Presidente, vorrei concludere con un dono di parole appena ricevuto da Shaul Ladany: “si sopravvive per una serie di casualità e scelte altrui, si vive grazie ad una scelta propria e alla voglia di vincere”;
Lui, sopravvissuto a Bergen Belsen, all’attacco terroristico delle olimpiadi di Monaco nel ‘72 e alle guerre di Israele, professore emerito di ingegneria. Lui è un conduttore di energia, esempio di chi ha ripreso la forza di vivere trasmessa ogni giorno, per la memoria verso il futuro.
A voi ragazzi che popolate questo millennio il nostro abbraccio incoraggiante. In voi, che dopo aver studiato avete anche visto e compreso che in quel luogo disumano non c’era nessuna vita, in voi si è accesa una luce nuova e ancora più voglia di vivere. A voi spetta una sfida importante – quella di condividere, di creare cultura che dona di sé alla società civile, di difendere questa verità, di battervi per un futuro che affermi la vita.
Grazie.

Noemi Di Segni, presidente UCEI

L’INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SERGIO MATTARELLA

Signora ministro, autorità, amici deportati, rappresentanti della comunità ebraica, cari ragazzi.

Il Giorno della Memoria ci ricorda la liberazione di Auschwitz, il più grande campo di sterminio costruito dai nazisti, nel quale furono uccise milioni di persone: ebrei, innanzitutto, ma anche dissidenti politici, zingari – come si diceva -, omosessuali, disabili mentali, prigionieri di guerra, testimoni di Geova e altre categorie perseguitate dal regime hitleriano.

I pochi sopravvissuti di quel campo non erano in condizione di vivere con gioia il giorno della liberazione. L’orrore, i patimenti fisici e morali, la paura, la fame, erano stati troppo grandi.

Ricordava così Elie Wiesel, trasferito da Auschwitz a Buchenwald, il momento dell’arrivo delle truppe americane: «Il nostro primo gesto di uomini liberi fu quello di gettarci sulle vettovaglie. Non pensavamo che a quello, né ai parenti, né alla vendetta: soltanto al pane».

Non era per nulla facile riprendere la vita di tutti i giorni, dopo essere stati trattati come oggetti di nessun valore, dopo aver vissuto, giorno dopo giorno, con la morte accanto.

Alcuni sopravvissuti scelsero, comprensibilmente, di rimanere in silenzio, altri di raccontare. Per tutti, il ricordo di quello che avevano subìto ha rappresentato un peso immane.

Anche per questo dobbiamo esprimere la nostra riconoscenza, profonda e convinta, per quei reduci dei campi di sterminio che ancora oggi ci raccontano e ci tramandano l’indicibile sofferenza patita. Le loro storie e le loro parole ci colpiscono e ci chiamano, in maniera esigente, all’impegno e alla vigilanza.

Nel Giorno della Memoria ricordiamo anche i 650.000 militari italiani deportati nei campi tedeschi, perché dopo l’8 settembre si rifiutarono di servire Hitler. E’ una pagina di storia, colma di sofferenza e di coraggio, che è parte integrante della Resistenza italiana e che non sempre è adeguatamente conosciuta.

Auschwitz è assurto a simbolo del complesso e meticoloso sistema di annientamento posto in essere dalla ferocia nazista. Un meccanismo mostruoso e impressionante di distruzione e di morte, organizzato, con lugubre accuratezza, su scala continentale, con il coinvolgimento attivo, o con la connivenza, di migliaia e migliaia di persone, dislocate anche a grande distanza dai campi.

Del delirante progetto di sterminio, Auschwitz, e la rete di campi omologhi, disseminati nell’Europa centro-orientale, furono – come sappiamo – soltanto il prodotto ultimo, il più estremo e mostruoso.

Non vanno infatti dimenticate le esecuzioni sommarie di più di un milione di uomini, donne e bambini ebrei, compiute durante l’avanzata dell’esercito nazista in Europa. I camion della morte, le morti per fame, freddo e a causa dei maltrattamenti, verificatesi nei ghetti durante gli anni del III Reich.

Alla costruzione di Auschwitz non si arrivò per caso. Esso fu il frutto perverso – ma del tutto coerente – di teorie razziste e dell’antisemitismo.

Questi fenomeni erano già tristemente presenti nella storia d’Europa: ma mai, prima dell’avvento di Hitler al potere, avevano assunto dimensioni così vaste e drammatiche.

Mai sulla base dell’odio per gli ebrei – fenomeno inspiegabile e mostruoso – era stato costruito un sistema ideologico, pseudo-scientifico, politico, giuridico, propagandistico e, infine, repressivo.

Mai teorie così nefande erano state sorrette da un consenso popolare spesso maggioritario e dalla compiacenza di intellettuali, con rare ed eroiche eccezioni.

Scrisse a questo proposito Hannah Arendt: «Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma colui per il quale la distinzione tra realtà e finzione, tra vero e falso non esiste più».

È una lezione terribile che richiama oggi e sempre le nostre coscienze.

Nella Germania nazista e nei regimi suoi alleati, parole ingannatrici e intrise di odio, promesse mendaci di gloria e potenza, crearono un’inedita mentalità diffusa, che annullava ogni confine tra umanità e barbarie.

Le camere a gas furono l’estrema conseguenza di questo processo metodico che mirava a esaltare la supremazia degli ariani e a definire una gerarchia di razze umane, al fondo della quale erano collocati gli ebrei.

Se un cittadino, soltanto perché di sangue ebreo, poteva essere privato di ogni diritto, espropriato di tutti i suoi beni, allontanato dalle scuole e dagli uffici, additato come essere inferiore, deportato, il passo successivo sarebbe stato, come inevitabilmente fu, quello della sua eliminazione fisica.

Erano buoni cittadini, ben integrati nella vita culturale, sociale e politica del loro Paese. Avevano tanti amici non ebrei. Di colpo, furono scaraventati nel baratro nella morte civile. E di lì alla morte fisica il passo fu davvero breve.

Ha fatto bene Luigi Diberti – che ringrazio per la sua intensa partecipazione – a ricordare come la cieca e determinata furia nazista si rivolgesse persino contro i protagonisti della vita culturale tedesca del passato.

Ai nazisti non bastava sterminare tutti gli ebrei d’Europa. Ma doveva essere estirpata dalla storia della Germania e dell’Europa ogni loro presenza, ogni loro traccia, ogni loro simbolo. I già progettati “Musei della razza estinta” dovevano nascere nelle città, una volta che camere a gas e crematori avessero esaurito il loro lugubre compito.

In quei terribili anni, in cui la storia d’Europa e dell’umanità conobbe una regressione senza precedenti, si avverava la fosca profezia di Heinrich Heine, citata da Primo Levi in una pubblicazione sui campi: “Dove si bruciano i libri – scrisse il poeta tedesco – prima o poi si finisce per bruciare anche gli uomini”.

La memoria di Auschwitz, e di tutto quello che Auschwitz rappresenta e contiene, ci pone ogni volta di fronte al lato più oscuro dell’uomo, all’abisso del male, all’offuscamento delle coscienze e alla perdita totale del sentimento più elementare di pietà e di umanità.

Nel buio più fitto risaltano ancor di più le azioni luminose di coloro che, rischiando la vita, hanno contribuito a salvare ebrei e perseguitati.

Rammentare e onorare – come è bene fare – i tanti giusti, le tante azioni eroiche, come ci ha appena ricordato il professor Riccardi, non cancella, tuttavia, le colpe di chi, anche in Italia, si fece complice dei carnefici per paura, fanatismo o interesse.

Pensare, oggi: «Io non c’ero, non ero ancora nato», non può rendere estraneo al dovere di rispondere alla domanda posta da un fardello così opprimente; non libera la storia presente da una domanda così stringente e carica di angoscia: come fu possibile che nel cuore dell’Europa cristiana, l’Europa culla di civiltà, nella quale erano nati i diritti della persona, i principi di libertà, eguaglianza, fraternità, si infiltrasse un cancro tanto micidiale e distruttivo?

Perché alcuni popoli, che avevano da poco e con grande sacrificio, conquistato l’indipendenza, la libertà e la democrazia, si consegnarono a forze tenebrose, tiranniche e assassine?

Cosa poté oscurare le menti, serrare i cuori, cancellare – tracciandovi sopra una svastica – progressi, conquiste e valori secolari?

Le risposte sono, e sono state, tante; aiutano la nostra comprensione del fenomeno: ma nessuna, credo, possa riuscire a sciogliere pienamente interrogativi così inquietanti.

La realtà dei campi di sterminio va oltre l’umana comprensione e oltre i limiti delle possibilità di espressione.

Intellettuali, filosofi, storici, artisti hanno dibattuto a lungo sulla reale impossibilità di descrivere pienamente il sistema Auschwitz: “il silenzio di Dio”, evocato da Wiesel, “l’esilio della parola”, di cui parla André Neher, non possono costituire però un ostacolo al nostro diritto e al nostro dovere di conoscere, indagare, studiare, riflettere. E prevenire.

Nulla deve fermare la nostra volontà di ricordare, anche se ci provoca tuttora orrore e dolore.

E, ancora oggi, dobbiamo chiederci: com’è possibile che, sotto forme diverse – che vanno dal negazionismo, alla xenofobia, all’antisionismo, a razzismi vecchi e nuovi, al suprematismo, al nazionalismo esasperato, al fanatismo religioso – ancora oggi si sparga e si propaghi il germe dell’intolleranza, della discriminazione e della violenza?

La giornata della Memoria, allora, non ci impone soltanto di ricordare, doverosamente, le tante vittime innocenti di una stagione lugubre e nefasta. Ma impegna a contrastare, oggi, ogni seme e ogni accenno di derive che ne provochino l’oblio o addirittura ne facciano temere la ripetizione.

Auschwitz, oggi, è diventato un monumento contro l’orrore nazista. Ma è, e deve essere, anche la testimonianza, presente e consapevole, di quali sciagure sia capace di compiere l’uomo quando abbandona la strada della convivenza e della solidarietà e imbocca la strada dell’odio.

Sergio Mattarella, presidente della Repubblica

L’INTERVENTO DELLA MINISTRA VALERIA FEDELI

Signor Presidente della Repubblica,
Le sono grata dell’invito che ha rivolto al Ministero che ho l’onore di servire e a tutto il mondo dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca: per tutte e tutti noi questo Giorno della Memoria è un giorno di scuola oltre la scuola, di riflessione e approfondimento. Così come l’ha voluto la legge 211 del 2000 che ha istituito questa giornata.
Ricordiamo oggi la Shoah, lo sterminio del popolo ebraico, perché fare memoria, Signor Presidente, è un atto doveroso e delicatissimo. Lo vediamo ogni volta che le nostre studentesse e i nostri studenti visitano i luoghi dello sterminio, spesso sorretti e accompagnati dalla testimonianza dei sopravvissuti, che con coraggio si caricano del fardello del ricordo, perché nessuno dimentichi e nessuno si sottragga alla responsabilità della storia.
Il rapporto che le nostre ragazze e i nostri ragazzi hanno stabilito con loro – penso a tante e tanti e in particolare a Sami Modiano che tutti abbracciamo oggi, e a Tatiana e Andra Bucci, con le quali appena una settimana fa abbiamo condiviso l’esperienza del Viaggio della Memoria – è un rapporto che segnerà per sempre la loro vita e li impegna davanti a tutti i possibili rigurgiti di antisemitismo, di romfobia, di omofobia, di xenofobia.
Eravamo in 100 a Cracovia, appena qualche giorno fa, un gruppo attento e silenzioso immerso nella sacralità di quei luoghi, in ascolto delle storie che si materializzavano davanti ai nostri occhi, trasportate dalle parole delle sorelle Bucci proprio lì dove erano accadute nella loro crudezza. Il viaggio al quale abbiamo partecipato, la giornata di oggi sono momenti di cui abbiamo bisogno per “vedere” e “rivedere” con lucidità ciò che è stato.
Vedere per riconoscere. E questo può avvenire solo studiando, conoscendo e facendo esperienza diretta.
La scuola è fondamentale in questo percorso, perché è il luogo principale della nostra società in cui si educano le nuove generazioni a scavare dentro l’ignoto, ad andare alla radice dei timori per scardinarli, a conoscere e comprendere la natura dei fatti storici e sociali della nostra storia.
Non c’è niente, conosciuto per ciò che è, che può farci paura. E
l’altro, chiunque sia, non può mai essere un nemico da sconfiggere. La diversità di ognuna e ognuno di noi è una fonte di arricchimento: ci consente di guardare con occhi nuovi, da prospettive differenti. E questo è fondamentale per crescere.
La nostra identità non può né deve mai essere usata come etichetta per discriminare. Siamo innanzitutto persone e il rispetto della nostra dignità non deve mai venire meno. Siamo donne e uomini. È questo che ci accomuna prima di tutto. E nessun aggettivo messo accanto a queste due parole deve essere mai più usato per alzare muri, mettere ai margini. È una lezione dolorosa che abbiamo imparato attraverso l’Olocausto. Una lezione che dobbiamo mantenere viva, con l’esercizio costante della conoscenza e del rispetto dei diritti umani.
Le Madri e i Padri Costituenti ne hanno fatto un principio intoccabile della legge più importante del nostro Stato. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua di religione,
di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Ed è per questo che l’articolo 3 della nostra Costituzione è così chiaro. Nessun tipo di discriminazione è ammesso. Nessuno. Oggi può farci impressione leggere quel termine “razza”, espressione che, per fortuna, ci appare desueta e concettualmente sbagliata. Ma chi ha voluto porre le basi normative di un’Italia democratica ha fatto una scelta di segno ben precisa: tutti dobbiamo avere ben in mente che per questioni razziali si è ucciso nel nostro Paese. E questo non deve essere mai più permesso.
I lavori dell’Assemblea Costituente mantengono le tracce della riflessione attorno a questo termine. Se da una parte alcuni deputati – cito: “come atto di doverosa cortesia verso le comunità israelitiche italiane” – proponevano soluzioni alternative, alla fine si decise per un’espressione che mantenesse viva la memoria
come momento fondativo di una Repubblica che ripudia il male e l’odio verso l’altro.
Il prossimo anno ricorrerà l’80esimo anniversario dalla promulgazione delle leggi razziali: leggi che imponevano obbedienza e osservanza, fondamento giuridico di uno Stato, ma di uno Stato totalitario, che perseguitava e uccideva nel rispetto di provvedimenti giuridici.
Sono, perciò, contenta di avere sottoscritto ad Auschwitz insieme
all’Ucei e al Consiglio Superiore della Magistratura, di cui Lei è Presidente e del quale vedo qui autorevoli esponenti, un memorandum che mette a disposizione delle scuole i magistrati italiani perché sostengano le nostre studentesse e i nostri studenti nella comprensione dei rapporti che intercorrono tra le leggi – il cui scopo è quello di regolare la vita civile di una determinata comunità – e i diritti, il cui rispetto è fondamentale per garantire la tutela della dignità umana. Leggi e diritti, elementi complementari che non possono mai essere disgiunti nella vita di un Paese civile e democratico.
Così in vista dell’anniversario del 2018, Signor Presidente, vorremmo assicurare a tutti che non solo non dimenticheremo ma che non smetteremo mai di studiare, di capire. Faremo in modo che sia un anniversario fecondo di eguaglianza, di giustizia e, per quanto possibile davanti all’irreparabile che fu la Shoah, di riparazione.
Vogliamo promuovere una riflessione adeguata. Vogliamo che i
nomi delle espulse e degli espulsi siano ricordati in tutte le scuole e in tutte le università, che in quell’anno persero, del tutto o temporaneamente, una componente essenziale della nostra cultura: un nome su tutti Rita Levi Montalcini, che ricordiamo a cinque anni dalla scomparsa. Vogliamo che gli studiosi e le studiose delle nostre università e dei nostri centri di ricerca, gli editori, le riviste scientifiche aprano uno scaffale web gratuito che, anche con il supporto del Comitato per gli anniversari di interesse nazionale presieduto da Franco Marini, metta a disposizione di tutti le migliori indagini e le più vaste fonti necessarie a comprendere quel passaggio storico drammatico.
Non smetteremo mai di impegnarci affinché le pagine dolorose di una Storia che preferiremmo dimenticare, per non doverci guardare allo specchio e riconoscerci disumani, siano monito per
la nostra vita presente e futura. Come Parlamento abbiamo voluto con forza l’approvazione della legge 115 del 2016 contro il negazionismo. Una legge il cui iter di approvazione, posso assicurarvi, è stato particolarmente complesso, a dimostrazione del percorso di consapevolezza ancora oggi richiesto su questi temi. Una legge di cui abbiamo bisogno per ribadire l’importanza di intercettare spie di malessere e di discriminazione e di non sottovalutare certi fenomeni e certi atteggiamenti.
L’ho detto alle ragazze e ai ragazzi che con noi hanno visitato il
campo di Auschwitz-Birkenau: guardatevi intorno, capite perché tornerete a casa diversi. E questo “tornare diversi” è l’investimento di una missione di tolleranza e rispetto, di curiosità e apertura all’altro. A partire dalla scuola e dell’università, che sono luoghi di inclusione e accoglienza. In questa Italia, in questa Europa, non c’è più spazio per l’odio, per l’emarginazione. Non deve esserci più spazio per la violenza.
A Lei, Signor presidente, alla Presidente dell’Ucei, Noemi di Segni, a tutte le autorità presenti qui e al Paese, chiediamo di sostenerci in questo percorso di conoscenza e responsabilità per le nostre e i nostri giovani. Dipenderà da loro la possibilità che mai più si ripeta l’orrore che ha drammaticamente segnato le generazioni delle nostre madri e dei nostri padri.

Valeria Fedeli, ministra dell’Istruzione

APPELLO AI CAPI DI STATO

Appello ai Capi di Stato

nell’anno del sessantesimo anniversario dalla firma dei Trattati di Roma, istitutivi delle Comunità Europee

nell’anno del decimo anniversario dalla firma del Trattato di Lisbona

nel giorno d’oggi 27 gennaio dedicato alla memoria della Shoa, della devastazione generata dalla seconda guerra mondiale

nel ricordo indelebile dell’aberrazione delle leggi razziste, dell’abuso più assoluto del principio della legalità e violazione di ogni etica dell’ordinamento giuridico, del sacro principio della vita

nella consapevolezza che l’indifferenza è stata generatrice di violenze perpetrate nel più assoluto silenzio

nel ricordo dei milioni che hanno subito le più disumane torture, dei milioni che hanno trovato la loro morte nei ghetti e nei campi di sterminio, nelle loro dimore e nei loro paesi per mano di regimi totalitari, per mano di chi scriveva le leggi, di chi le applicava, di chi le forzava,

nella consapevolezza che i processi di immigrazione, accoglienza e integrazione dei molti che cercano nei nostri Paesi rifugio, asilo e un abbraccio fraterno, devono essere condivisi e responsabilmente assunti e gestiti da tutti i paesi europei

nella consapevolezza che l’Europa oggi è minacciata da gravi fenomeni di razzismo, terrorismo e antisemitismo, che si nutrono di ignoranza e prepotenza, da parte di persone singole o organizzazioni ben armate, ben finanziate, residenti in Europa, o provenienti da vicini paesi, che con determinazione ricercano la distruzione fisica e culturale e del pluralismo religioso

nella consapevolezza che l’Europa unita è attraversata oggi da forti spinte populiste, disconoscimento e disintegrazione

nel riaffermare la necessaria difesa dell’ordinamento europeo da ogni forma di abuso

nella consapevolezza che ogni sistema di legge e ordinamento trova il suo primo baluardo nella condivisone dei valori fondanti, nella condivisione culturale, nell’educazione

a voi è rivolto l’appello

ad una profonda considerazione di quella che è l’identità europea da difendere e maturare

a voi è rivolto l’appello

per proseguire nel processo di integrazione dell’Unione Europea

per proseguire la costruzione di una Unione con e per i giovani cittadini

per un impegno che veda tutti i popoli d’Europa adoperarsi con determinazione per l’applicazione dei presupposti sanciti oggi nel preambolo del Trattato e nella carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea:

– per il riconoscimento delle eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e dello Stato di diritto,
– per il riconoscimento dell’importanza storica della fine della divisione del continente europeo e la necessità di creare solide basi per l’edificazione dell’Europa futura nella consapevolezza del suo patrimonio spirituale e morale,
– per la considerazione prima e anzitutto della persona, posta al centro della sua azione, istituendo la cittadinanza dell’Unione e creando un reale spazio di libertà, sicurezza e giustizia
– per l’attaccamento ai principi della libertà, della democrazia e del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e il divieto di qualsiasi forma di discriminazione
– per la solidarietà tra i loro popoli rispettandone la storia, la cultura e le tradizioni,
– per il rispetto della diversità culturale, religiosa e linguistica
– per il rispetto della libertà delle arti e della ricerca scientifica ed accademica
– per il rispetto dello Stato di diritto

per la definizione di un quadro stabile, irrinunciabile, inviolabile, immodificabile unilateralmente dei fondamentali diritti dell’uomo;

per una revisione di termini che non possono più fare parte di un dizionario comunitario, quali il termine “razza”;

per una profonda riflessione sui sistemi di approvazione e decisione che portino all’evoluzione del quadro comunitario.

per un forte impegno ad estendere e condividere i nostri fondamentali valori – primo tra tutti la vita – alle nazioni vicine che ad oggi non hanno ratificato, non hanno conosciuto, non hanno inteso aderire a questi fondamentali principi

per un impegno a formare le coscienze di ogni individuo, a partire dall’educazione prescolastica

per un forte e determinato rispetto del monito di contrastare ogni primaria espressione e fo
rma di razzismo e antisemitismo

a voi l’appello

affinché l’imperativo etico e civile di ricordare ed onorare la memoria dei milioni di vittime innocenti causati dall’odio e dalla indifferenza criminale, sia testimoniato con fatti che attestino la nostra irriducibile alterità rispetto a quell’odio ed a quella indifferenza.

(27 gennaio 2017)