Qui Firenze, Qui Pistoia
“Tolleranza, un termine improprio”

cons rg“Se pensiamo alla parola tolleranza questa ha nella realtà una accezione negativa. E questa accezione negativa si riflette nei nostri comportamenti, nelle nostre idee, entra nelle nostre menti e lavora nel tempo assieme ai pregiudizi. La tolleranza come tale è una delle basi sui cui si basa il pregiudizio, proprio perché si pone come una barriera che mettiamo tra noi e gli altri. A livello di tolleranza questa barriera è bassa e basta poco per far scattare le nostre difese e trasformarla in intolleranza”.
È il messaggio lanciato oggi dal presidente della Comunità ebraica fiorentina Dario Bedarida, intervenuto nel corso del Consiglio solenne convocato oggi presso la Regione Toscana per il Giorno della Memoria. Ad intervenire, anche per una valutazione sul Treno della Memoria che anche quest’anno ha portato centinaia di giovani in Polonia, il governatore Enrico Rossi e il presidente dell’Istituto storico della resistenza della Toscana Simone Neri Serneri.
Di grande significato anche l’inaugurazione oggi in Piazza San Francesco a Pistoia, alla presenza delle massime autorità cittadine, della mostra In Viaggio. La deportazione nei lager.
Mostra in cui, grazie un carro merci originale dell’epoca, i visitatori vengono catapultati nel dramma vissuto da milioni di persone: donne, anziani, bambini, neonati, ragazzi, presi dalle loro case, e trascinati a forza su vagoni merci per essere deportate nei campi di sterminio nazisti.
pistoiaLa mostra è stata ideata e realizzata dagli storici Sara Valentina Di Palma e Stefano Bartolini, e ripercorre l’esperienza drammatica di quei momenti attraverso i racconti di chi l’ha vissuta, mostrando come il viaggio fosse già una tappa dell’assassinio, attraverso la morte dei più deboli e soprattutto l’annullamento della personalità.
Ad intervenire Samuele Bertinelli, Sindaco di Pistoia; Roberto Barontini, Presidente ISRPt
e Daniele Coen della Comunità ebraica di Firenze.
La mostra (visitabile fino al 3 febbraio) è curata dall’Istituto Storico della Resistenza della provincia di Pistoia e dalla Comunità ebraica fiorentina, con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia.

Di seguito l’intervento del presidente della Comunità ebraica fiorentina Dario Bedarida

Presidente Rossi, Presidente Giani, Autorità, Consiglieri, Signore e Signori,
Ringrazio per poter intervenire a questa seduta solenne del Consiglio Regionale della Toscana in occasione del Giorno della Memoria.
Dobbiamo essere contrari alla tolleranza.
Certamente siamo contrari all’intolleranza e dobbiamo combatterla con tutte le nostre forze, ma pensiamo per un momento alla “tolleranza”.
Tollerare vuol dire sopportare. Nel dizionario come primo significato è dato “Capacità di resistere a condizioni sfavorevoli o potenzialmente dannose”.
Se pensiamo alla parola tolleranza questa ha nella realtà una accezione negativa.
E questa accezione negativa si riflette nei nostri comportamenti, nelle nostre idee, entra nelle nostre menti e lavora nel tempo assieme ai pregiudizi.
La tolleranza come tale è una delle basi sui cui si basa il pregiudizio, proprio perché si pone come una barriera che mettiamo tra noi e gli altri.
A livello di tolleranza questa barriera è bassa e basta poco per far scattare le nostre difese e trasformarla in intolleranza.
Ne è una dimostrazione l’espressione “non posso più tollerare ….” riferita quindi a situazioni mai accettate o mal accettate, che per una piccola variazione passano allo stato di intolleranza.
Facciamo quindi un passo avanti e pensiamo agli altri a coloro che non sono come noi in termini di accettazione e ancora meglio di accoglienza.
Il primo pensiero va oggi alla situazione del Mediterraneo, ma non voglio e non posso parlare delle politiche dei profughi di cui si parla in questi anni e mesi in Italia ed in Europa. Ma possiamo pensare alla loro condizione e come ci poniamo verso di loro
Guardandoci intorno siamo pieni di persone diverse da noi – in particolare arrivate da situazioni estreme – e non solo profughi , ma anche italiani o concittadini, che noi consideriamo diversi e non uniformati a noi.
Quale è il nostro atteggiamento nei loro confronti ?
Dobbiamo essere tutti uguali davanti alla legge, sia nel rispettarla che nella sua applicazione.
Ma oltre a questo, la diversità è la nostra forza, come popolo, come esseri viventi. Questa è una legge di natura.
E quindi la diversità come tale non deve essere “tollerata”, ma almeno accettata fino a che non la conosciamo e poi dopo accolta come elemento di crescita.
Infatti, è’ la diversità l’elemento che ha condotto alla Shoà ?
No: è stato il pregiudizio.
Pensiamo all’Europa del Nord e dell’Est all’inizio del 1900, quando si sono sviluppati i fenomeni che hanno portato alla Shoà.
Nei paesi dell’Est la separazione fisica degli ebrei era legata alla presenza di quartieri ebraici o interi villaggi, dove la vita ebraica, poteva svilupparsi secondo le proprie tradizioni, il riposo del sabato, il mangiare secondo quanto prescritto,l’ educazione e l’istruzione, il culto.
Allo stesso tempo in Germania, nella civilissima Germania che aveva dato eminenti filosofi, scrittori, scienziati, viveva una grande e ricca comunità ebraica, in parte osservante, ma in parte perfettamente assimilata alla vita dei tedeschi non ebrei. E lo stesso in Austria.
A livello globale vi era una forte integrazione. Il teatro Yiddish era ad esempio una componente essenziale del teatro in Polonia,così come i giornali, il commercio, la presenza nell’economia del paese.
Nel 1923 un giovane austriaco scrisse in carcere un libro , sua autobiografia “Mein Leben” e parlando di Vienna diceva
“Una volta mi aggiravo per le vie del centro , mi imbattei improvvisamente in un personaggio dal lungo Kaftan e dai riccioli neri. Anche costui un ebreo ? Fu il mio primo pensiero. Certo gli ebrei di Linz non gli rassomigliano affatto. Io osservai quell’uomo in modo furtivo ed attento , ma quanto più lentamente fissavo quel viso straniero , esaminandolo tratto per tratto , tanto più nel mio cervello la prima domanda si trasformava in una seconda : anche costui è un tedesco ?”
Il giovane austriaco che scriveva questo non era altro che Hitler ed a questo libro Mein Leben segui il tristemente famoso Mein Kampf.
Ho tratto la citazione dalla prefazione di Mario Freschi ad un piccolo libro, scritto da Hugo Bettauer nel 1923, intitolato “La Città senza Ebrei”, che vi consiglio. Il libro racconta come storia ( di fantasia per Bettauer) che erano emanate state leggi antiebraiche in Austria e che entro poche settimane tutti gli ebrei avrebbero dovuto lasciare il paese, comprese vecchi , infermi, ricchi e poveri, commercianti, imprenditori e professionisti, senza alcuna eccezione. E dovevano di fatto vendere o svendere le loro proprietà e le loro attività. Il finale del libro è positivo mentre la prima parte che aveva preconizzato la realtà era stata inferiore di un ordine di grandezza a come poi si sono svolti i fatti 15 e 20 anni dopo
Il libro vendette all’epoca 250.000 copie, ne fu fatto un film. Ma Bettauer – lo scrittore più letto a Vienna nei primi anni 20 – nel 1925 fu assassinato da un fanatico nazista.
Questo libro ci ricorda che quindi è possibile vedere i segnali che nella nostra vita ci conducono al pregiudizio, all’intolleranza, alla violenza.
La Shoà e le altre persecuzioni e massacri perpetrati dai nazisti sono un unicum nel loro complesso, speriamo irripetibile e non è possibile fare paragoni.
Dobbiamo invece trarre insegnamento dalla storia per evitare che i germi della discriminazione , dell’antisemitismo ed in generale di ogni forma di razzismo, della violenza , della persecuzione maturino ed arrivino alle conseguenze che siamo qui oggi a ricordare.
In questa regione, in queste stanze (almeno in modo figurato) nei secoli passati è stata data dimostrazione opposta. Di apertura, di accettazione, di accoglienza.
E tra tutte cito le cosiddette Leggi Liburnine del 1591-1593 di Ferdinando I dei Medici nelle quali si invitavano non solo gli ebrei ma i “mercanti di qualsivoglia nazione . Levantini, Ponentini, Spagnuoli, Portoghesi, Greci, Todeschi, Hebrei, Italiani, Turchi, Mori, Armeni , Persiani, ed altri” ad insediarsi a Livorno e Pisa. E dopo questo incipit le Leggi Liburnine proseguono garantendo diritti civili e religiosi di livello paragonabile o superiore a quelli attuali.
E se guardiamo la lista delle nazioni invocate da Ferdinando, a questa dobbiamo ispirarci accogliendo la diversità, rispetto ad una pregiudiziale chiusura della frontiere, oggi evocata in alcuni paesi d’Europa e del mondo.
E Livorno e Pisa, nella tradizione di una cultura di accoglienza ed integrazione sono probabilmente le uniche città europee nelle quali nel corso dei secoli non si è verificata né l’espulsione degli ebrei, né l’istituzione di un ghetto.
Il tema della “tolleranza” che ho esaminato prima si lega a quello dell’indifferenza. Oggi come ieri il mondo non è solo bianco o nero. Vi sono molti grigi.
E vi sono molte persone che non vedono, non vogliono vedere, fanno finta di non vedere.
Come se quello che accade nella porta accanto, nella casa accanto, nella nazione accanto non li riguardasse.
Quanti vivevano vicino alle stazioni o alle linee ferroviarie ed hanno visto il passaggio dei treni dei deportati ebrei e non ebrei?
Quanti non li hanno aiutati ? Quanti – anche in Italia – non hanno denunciato una situazione oggettivamente intollerabile per le coscienze, a partire dal 1938?
Non dobbiamo essere indifferenti. Non ce lo possiamo permettere .
Abbiamo assistito leggendo le cronache dei giornali al Darfur, al Ruanda, alla Ex Jugoslavia, ed ora alla situazione ai confini dell’Europa.
Essere indifferenti accentua la radicalizzazione e le conseguenze le vediamo.
Per questo dobbiamo sapere, doppiamo studiare, dobbiamo ricordare.
Anche oggi che siamo a 79 anni dalle leggi razziali e 72 anni dalla liberazione di Auschwitz.
Non potremo più basarci solo sulle testimonianze dirette dei sopravvissuti, ma capire come nascono e si sviluppano i fenomeni, combattere questi fenomeni e ricordare. Per cercare di non fare più gli stessi errori.
Firenze è una prestigiosa città internazionale. Nella quale era presente (ed è presente tuttora) una attiva Comunità ebraica. Ed a Firenze nei periodi delle persecuzioni sono arrivati in molti da fuori per trovare un porto sicuro.
Da Firenze furono deportati 248 ebrei iscritti alla Comunità e 150 che qui avevano cercato rifugio. I loro nomi sono iscritti i due lapidi nel giardino della sinagoga.
I rastrellamenti, gli arresti, l’inizio delle deportazioni avvenne nelle loro case, mentre erano per strada, nei rifugi provvisori che avevano trovato. Ed e’ giusto che oltre i loro nomi, anche i loro luoghi nella città non siano dimenticati. Affinché se passiamo in una strada del centro possiamo ricordare cosa è avvenuto qui.
E ci impegniamo affinché non i ripeta.
Lancio qui una richiesta alle istituzioni locali.

In molte città d’Europa, ed anche a Roma, Torino, Milano sono presenti sui marciapiedi della città le “pietre di Inciampo” Stolpersteine in tedesco, sono quasi 50mila in oltre mille città europee.
In Toscana sono presenti anche a Livorno, Prato e recentemente a Siena : si tratta di piccole targhe di ottone poste su cubetti della dimensione dei porfidi delle pavimentazioni stradali, che sono poi incastonati nel selciato che danno un nome alle persone di fronte alla casa dove sono state uccise o deportate.
Vi chiedo di attivare congiuntamente un processo affinché anche a Firenze possano essere messe nella città queste pietre, in qualche modo un simbolo di civiltà, perché ci ricordano il passato,le atrocità, i nostri errori e ci aiutano a non dimenticare.
Grazie

Dario Bedarida, presidente Comunità ebraica di Firenze

(27 gennaio 2017)