…limiti
Non mi hanno mai trovato d’accordo le riattualizzazioni, i paragoni fra gli eventi diversi della storia, il passato in chiave moderna, usato come metafora per spiegare e ‘illuminare’ le tragedie del presente. La considero una retorica demagogica. In breve, fra le tragedie di oggi – la Siria in primis – e la Shoah non c’è spazio per paragoni. E non c’è spazio per paragoni, diretti o indiretti, fra la Shoah e la situazione israelo-palestinese, analogia cui intellettuali disonesti amano ricorrere con una certa frequenza.
Questo non esclude, tuttavia, che esista una analogia fra chi cerca di salvarsi oggi da una guerra e chi cercava, a suo tempo di salvarsi dalla Shoah. Il desiderio di evitare la morte propria e della propria famiglia, il desiderio di sopravvivenza a qualsiasi costo è uguale in ciascuno di noi. E lo sarà sempre.
Se la Svizzera non avesse aperto le porte a cinquantunmila persone, di cui ventunmila ebrei, ci sarebbero state più lacrime nel nostro bilancio. Si salvarono, in questo modo, mio padre, mia madre e mio fratello, uno zio, quelli che sarebbero diventati mio suocero e mia suocera, e amici e parenti vari. Poi la porta si chiuse, la “barca”, si disse, era piena e non poteva accogliere più nessuno. Ventiquattromila persone furono respinte al confine. Molti di quelli che non riuscirono a salire su quella barca finirono ad Auschwitz. Parenti o amici. Non ne farò l’elenco.
È possibile, senza ricorrere a riattualizzazioni e a paragoni impropri, sentire che non si può rimanere indifferenti alla tragedia di uomini, donne e bambini che, in fuga disperata da una guerra, vengono respinti a una frontiera?
Non si tratta di essere pro o contro Trump – se ne può discutere. Si tratta di riconoscere i limiti della disumanità.
Dario Calimani, Università Ca’ Foscari Venezia
(31 gennaio 2017)