Siberia

angelica edna calò livneSi, in Israele c’è ancora bisogno di gente. C’è bisogno di programmatori e programmatrici, di estetiste, di pasticceri/e, di chef, garagisti, meccanici, saldatori e di chiunque voglia dare un contributo secondo le proprie capacità. I sindaci delle città che desiderano accogliere nuove famiglie, da Katserin, a Nes Ziona, da Kiryat Shmone, a Nazaret Illit e a Eilat, si organizzano e insieme al ministero del Lavoro e al ministero dell’Interno, in collaborazione con i direttori delle grandi aziende israeliane e con il prezioso apporto della Sochnut, l’Agenzia Ebraica, si incontrano in tre grandi città della Siberia per reclutare olim hadashim, nuovi immigranti. Yehuda è invitato come rappresentante delle 7 fabbriche del Gruppo Beit El, cristiani sionisti della Germania, che nel 1963 compirono un’aliyah in massa per identificarsi con Israele in reazione alla Shoah. Si insediarono a Zichron Yaakov, fondarono un kibbutz e da allora si prodigano per incrementare lo sviluppo economico e industriale del Paese. Yehuda dirige due centri di formazione professionale di Beit El: uno nel Golan e uno nei pressi di Afula. Insieme al sindaco di Katserin, Dimitri Aparsev, è invitato a proporre il loro programma comune nel quale i candidati, dopo aver partecipato a un corso di meccanica industriale, riceveranno immediatamente un posto di lavoro e tutte le facilitazioni per integrarsi con le proprie famiglie: una casa, la scuola per i bambini e tutti i servizi sanitari.
Della delegazione fanno parte, Hezi Barak presidente del sindacato delle Autofficine israeliane, Uzi Ben Ezra, delegato degli Chef, Igor Korol per la programmazione e i computer e i rappresentanti di Isrotel e Rimon Inn per il lavoro nel turismo alberghiero. Hani Zohar del ministero del Lavoro presenta poi un quadro generale delle esigenze di Israele, dei diritti e dei salari.
Gli incontri si sono svolti a Irkutsk, a Khabarovsk e a Vladivostoc. Dopo molti viaggi in cui Yehuda ha guidato con me i ragazzi del Teatro multiculturale Arcobaleno per mostrare attraverso i progetti educativi di Bereshit LaShalom il volto pluralista, artistico e umanistico di Israele è il mio turno seguire lui per reclutare nuove braccia, nuove menti, estro ed entusiasmo per l’inizio di una nuova vita in questo Paese sorprendente che mi fa pensare a una principessa senza tempo che non smette di danzare, di curare le proprie ferite, di costruire e rinnovarsi.
A ognuno dei tre incontri arrivano più di 400 persone. Dopo il fervente discorso della ministra dell’Interno e dell’Immigrazione, Sofa Landver, anche lei immigrata nel 1979 direttamente da San Pietroburgo ad Ashdod, gli intervenuti girano per la grande sala e prendono informazioni a seconda dei propri interessi professionali dai banchetti colmi di addobbi bianchi e azzurri e di brochure scritti scrupolosamente in russo. Famiglie con bambini sventolano le bandierine d’Israele che hanno ricevuto all’entrata dei grandi alberghi, dopo l’accurato controllo di sicurezza, dove si svolgono gli incontri. Nell’aria vibrano canzoni israeliane di ogni epoca, da Sarit Haddad a Arik Einstein a Idan Reichel. Molti rappresentanti della nostra delegazione sono russi, della grande Aliyah degli anni ’90. Chi, come noi, non parla la lingua, ha un assistente volontario della Sochnut: ragazzi che hanno vissuto per un periodo in Israele con il Progetto di integrazione di NAALE (giovani che emigrano in Israele senza la famiglia) che rispondono a ogni domanda traducendo e spiegando le nostre informazioni sui vari programmi. I volti dei membri della delegazione luccicano di entusiasmo e gli intervenuti contano in una risposta positiva al proprio diritto della “Legge del ritorno” in seguito ai documenti presentati.
Fuori c’è stato un bel sole per tutta la settimana. Siamo passati davanti a fiumi e laghi gelati. Nei parchi delle città si ergono statue di ghiaccio e di neve. La temperatura è di -29 gradi. Mi tolgo un guanto per fotografare il tramonto sul Lago Baikal e devo entrare in un bar per mettere la mano sulla stufa perché non la sento più, è quasi congelata dal freddo e il dolore è insopportabile.
Mentre cammini sul ghiaccio è inevitabile pensare alle persone che venivano mandate ai lavori forzati in Siberia. È inevitabile pensare che la fiera è iniziata proprio il 27 Gennaio, mentre in Europa si celebrava il ricordo della Shoah. Non posso non pensare al freddo di Auschwitz, ai sopravvissuti al gelo, alla fame, alla nostalgia dei propri cari e della propria vita nel baratro della solitudine. Alla loro incredulità verso la crudeltà, l’odio e la determinazione di chi voleva cancellare il popolo ebraico dalla faccia della terra. Su uno schermo gigante si susseguono immagini di flash mob per le vie di Gerusalemme, di sport di ogni genere, di nuovi sistemi di ricerca nelle università e nei centri sperimentali, di distese verdi nel deserto del Negev. L’ultima sera Roman Polonsky, capo dell’Unità mondiale per l’ebraismo di lingua russa, sigilla con pacata emozione l’evento davanti all’intera delegazione, dinnanzi agli occhi di tutti coloro che non credevano di poter realizzare un simile progetto, in Siberia, dove non c’era mai stato un ufficio dell’Agenzia ebraica, in questa stagione, a questi freddi. Si sente nell’aria la sensazione di aver scritto un altro pezzetto di storia. Un’altra piccola vittoria della vita. E non riesco ad arginare questa voce che mi canta e mi grida dentro “Am Israel Hai!”

Angelica Edna Calò Livne

(6 febbraio 2017)