Periscopio – Assordanti silenzi

lucreziLa battaglia legale in corso negli Stati Uniti intorno alla validità del decreto firmato dal Presidente Trump (che, com’è noto, impedirebbe ai cittadini di sette Paesi islamici di fare ingresso negli States per 90 giorni), si presta a diverse considerazioni.
Nel merito e nella forma del provvedimento, dico subito che lo considero sbagliato, controproducente e illegittimo. La lotta al terrorismo non si fa certo adottando la stessa rozza e violenta mentalità dei terroristi e degli estremisti, che considerano gli uomini nemici da colpire esclusivamente sulla base della loro nazionalità, religione o etnia. Trump fa bene a contrastare tutti i Paesi che foraggiano la violenza e il terrore, ma, se vuole davvero farlo, sbaglia completamente bersaglio prendendosela con i loro cittadini, anche quelli che bussano alla porta dell’America per fuggire dai loro regimi oscurantisti, in cerca di libertà e sicurezza. Niente fa più il gioco dei violenti che la logica brutale del muro contro muro, senza alcuna sfumatura e alcun distinguo.
In un Paese democratico, poi, il Presidente non è un padrone di casa che decide lui, di volta in volta, a chi aprire l’uscio e a chi no. Queste cose, in uno stato di diritto, le decide la legge, non il governo, e neanche il potentissimo Presidente degli Stati Uniti è al di sopra della legge. Sto quindi dalla parte del Procuratore dello Stato di Washington, Bob Ferguson, che ha chiesto di bloccare il provvedimento, del giudice di Seattle, James Robart, che ha accolto il ricorso, e della Corte di Appello di Washington, che ha respinto il contro-ricorso presentato dal Dipartimento di Giustizia, contro la sentenza di Robart. E gli insulti contro i magistrati (il “cosiddetto giudice…”), pronunciati dall’incollerito Trump – che a noi italiani suonano tristemente familiari -, rafforzano la loro ragione, e il torto del Presidente.
Ciò detto, mi dissocio nettamente dal coro universale di critiche a Trump, per un semplice motivo. Non ha nessun titolo morale per criticare il provvedimento del Presidente americano chi resta in assordante silenzio – come è stato opportunamente ricordato – innanzi alla scandalosa vergogna di ben 16 Paesi che impediscono – sulla base non di ragioni di sicurezza, per quanto opinabili, ma per motivi squisitamente razzisti – di entrare nei loro confini ai cittadini dello Stato di Israele. Una vergogna a cui si aggiunge l’altra, ancora più eclatante, costituita dal fatto che alcuni di questi Paesi impediscono l’ingresso non solo ai cittadini israeliani, ma anche a chiunque, di una qualsivoglia nazionalità, porti sul proprio passaporto un timbro dell’aeroporto Ben Gurion. Una misura disgustosa, che discrimina, tra l’altro, anche i cittadini italiani (moltissimi dei quali si recano ogni giorno in viaggio in Israele), e i Paesi democratici che la subiscono passivamente, senza neanche fiatare (tra cui, ovviamente, l’Italia), danno una tale prova di cinismo, viltà e doppia morale che dovrebbero solo andare a nascondersi, altro che dare le pagelle a Trump o a Putin.
C’è un altro posto, poi, che si chiama Gaza, dove i cittadini israeliani sono invece sempre benvenuti: vengono infatti accolti a braccia aperte, e trattenuti per lunghi anni, o per sempre – anche se si tratta, come dimostrano le notizie di questi giorni, di giovani etiopi o beduini che soffrono di disturbi psichici, e che sono entrati nella striscia perché hanno perso la strada -, come una preziosissima risorsa, vero e proprio “oro umano”, utile a intavolare estenuanti ma lucrosissime trattative per il loro rilascio, attraverso le quali estorcere al nemico, come scambio, quanti più tagliagole possibile. Ma anche su questo, ovviamente, il mondo tace.
Tutto questo non mi porterà certo a mutare il mio giudizio sulle scelte del Presidente americano, le sue logiche e il suo linguaggio. Ma, sia chiaro, le mie critiche le farò sempre in beata e assoluta solitudine, mille miglia lontano dai chiassosi e affollatissimi cortei degli ipocriti manifestanti anti-Trump.

Francesco Lucrezi, storico

(8 febbraio 2017)