Libertà e attesa

Sara Valentina Di PalmaE così le piaghe sono arrivate, anche l’ultima, terribile, della morte dei primogeniti. È venuto il momento di lasciare l’Egitto, finalmente liberi. Senza fermarsi davanti al mare, esitanti e sfiduciati. Senza rimpiangere, poi, i cibi di Mizraim.
Pensare alla fine delle cose, che constatazioni disperanti: “Nessun bambino sa che è l’ultima volta che chiama sua madre ‘mami’. Nessun ragazzino sa che il libro si sta chiudendo sull’ultima fiaba della buona notte che gli sarà mai letta. Nessun fratello sa che la vasca si sta riempiendo per l’ultimo bagno che farà mai col fratello” (Jonathan Safran Foer, Eccomi, Guanda 2016, p. 116).
Quando andiamo in Israele? Chiede il bambino, serio. Così mi fai vedere la statua di quella signora…quella signora che ha guardato indietro ed è diventata di sale…
Meglio, allora, pensare a: la prima volta che, sulla soglia dei sei mesi, dopo qualche tentativo di lallazione, la bimba dice chiaramente ‘mamma’, la prima volta che sorride. La prima volta che non ho dovuto ripetere più la tabellina del quattro, perché tutti se la ricordano a memoria, anche se non in ebraico come la compagna (con madre israeliana, va detto) del Talmud Torà.
La prima mitzvà lasciato l’Egitto è la santificazione del tempo, che significa, prima ancora, la consapevolezza, per chi sino ad allora era stato schiavo e del tempo non aveva potuto disporre liberamente, della sua preziosità. Avere tempo per sé, apprezzarlo, santificarlo.
הַחֹ֧דֶשׁ הַזֶּ֛ה לָכֶ֖ם רֹ֣אשׁ חֳדָשִׁ֑ים רִאשׁ֥וֹן הוּא֙ לָכֶ֔ם לְחָדְשֵׁ֖י הַשָּׁנָֽה “Questo giorno sarà per voi il capo dei mesi, per voi sarà il primo dei mesi dell’anno” (Shemot, 12:2).
Libertà, ed insieme responsabilità. Perché tutto deve avvenire nel giusto lasso di tempo, altrimenti la matzà non è più matzà se si aspetta troppo.
Ma anche saper attendere, avere pazienza. Prepararsi allo Shabbat. Lasciare passare i giorni di niddà, perché poi ci sarà la gioia di ritrovarsi. Contare l’Omer per arrivare al Matan Torà. Attendere che Moshè torni, senza costruirsi un vitello d’oro per placare l’ansia di un’attesa mutata in angoscia. Sapere che si avrà un figlio e predisporsi alla sua nascita, abituandosi alla sua presenza e approntandosi ad accoglierlo.
Libertà, restare in equilibrio tra gioia del presente ed attesa.

Sara Valentina Di Palma

(9 febbraio 2017)