ORIZZONTI Giornalismo e informazione nel mondo arabo Così il linguaggio influenza le notizie
Oggi a suscitare allarme sono soprattutto le fake news, bufale inventate di sana pianta che hanno però un’enorme presa sull’opinione pubblica. Tuttavia nel mondo dell’informazione, una questione da tenere sotto controllo è da sempre quali parole, tra tutte quelle rilevanti a disposizione, vengono scelte per descrivere un determinato avvenimento. Per esempio, definire la vittima di un’azione militare come una semplice persona, come un guerrigliero, o come un terrorista, ha un impatto immediato su ciò che il lettore o l’ascoltatore percepiranno di quanto accaduto.
A descrivere come questo problema abbia reso ancora più complesso raccontare la guerra in Siria è stato di recente il corrispondente da Beirut del quotidiano New York Times. Con una particolarità in più: grazie alla conoscenza dell’arabo, Ben Hubbard ha toccato con mano quanto questa dimensione influenzi e abbia influenzato la situazione sul campo, e come essa sia spesso frutto di una precisa agenda politica.
“Quando il governo siriano ha riconquistato Aleppo est dai ribelli in dicembre, le storie che circolavano nel mondo arabo a proposito di quello che stava succedendo dipendevano in massima parte dalla fonte delle notizie. Alcuni canali descrivevamo un’impresa eroica dell’esercito siriano, capace di ‘ripulire’ l’area da ‘gruppi armati’ e ‘terroristi,’ prima di condurre un processo di ‘riconciliazione’. Per altri, il ‘regime’ aveva soffocato i ‘rivoluzionari’ e pianificava di portare avanti una ‘pulizia etnica’ del ‘popolo siriano’,” spiega Hubbard nell’articolo pubblicato sulla Sunday Review.
Un tema costante in tutte le principali emittenti del mondo arabo, in cui ai numerosissimi canali di sole notizie, da quelli di lungo corso come Al Jazeera e Al Arabya ai nuovi arrivati come il pro-Iran Al Mayadeen, si aggiungono i network di gruppi specifici inclusi Hamas e Hezbollah.
“Molto lontani dall’essere indipendenti fonti di informazioni, questi canali hanno potenti sostenitori che li utilizzano per promuovere la propria agenda e danneggiare i nemici. Per il telespettatore (così come per lo studente di arabo) questo significa dover decifrare un codice complesso fatto di vocaboli impregnati di politica, il cui uso può facilmente indicare la posizione di ciascuno. In Siria per esempio, chi sono i ‘martiri’? I soldati del regime uccisi dai ribelli o i ribelli uccisi dalle truppe governative?” fa notare ancora il giornalista. Hubbard ricorda come questo problema gli divenne evidente quando studiava l’arabo al Cairo nel 2004, e si trovò a imparare che “un’operazione di martirio” equivaleva a un attacco suicida.
Oggi, mentre la tensione e i conflitti crescono, il problema si acuisce, e parole come ‘governi legittimi’, ‘rivoluzioni’, ‘ribelli’, ‘terroristi’, si mescolano sui vari media per descrivere quella o questa fazione. Così aumenta la polarizzazione all’interno delle opinioni pubbliche dei vari paesi e lo spazio per mediazioni e soluzioni condivise si riduce. Un altro segnale della necessità di non sottovalutare l’importanza della stampa, e della sua indipendenza. Che almeno le società democratiche possono ancora difendere.
rt