Qui Milano, il convegno di Gariwo
La lotta al nichilismo terrorista

Gariwo - parenti“Il destino ha voluto che aiutassi i turisti al Bardo. Non dimenticherò mai l’angoscia di allora”, ricorda dal palco del Teatro Franco Parenti di Milano Hamadi ben Abdesslem. Sarà infatti lui
il 18 marzo 2015 a portare in salvo 45 turisti dal museo del Bardo di Tunisi nel corso di un’irruzione di un commando di terroristi islamisti. Nove persone rimarranno uccise nell’attentato mentre il gruppo guidato da Hamadi riuscirà a salvarsi. “La lotta contro il terrorismo islamista è questione di cultura e di mentalità, dobbiamo accettare e capire l’altro, questa è parte della soluzione per poter convivere in pace”, prosegue la guida del Bardo nel corso dell’incontro organizzato da Gariwo – La foresta dei Giusti dal titolo “La battaglia culturale contro il terrorismo fondamentalista islamico”. Al fianco di ben Abdesslem, sul palco, il politologo ed esperto di Medio Oriente Olivier Roy, l’inviato del Sole 24 Ore Alberto Negri e lo scrittore libanese candidato al Nobel per la Pace Hafez Haidar.
Un appuntamento che fa parte del ciclo di conferenze La crisi dell’Europa e i Giusti del nostro tempo, organizzato proprio da Gariwo assieme al Parenti, per tracciare una quadro delle complesse sfide – dal terrorismo all’immigrazione – che il Vecchio continente deve affrontare e quale sia la lezione di chi combatte ancora oggi per la libertà. L’esempio di ben Abdesslem, del suo coraggio, ha ricordato il presidente di Gariwo Gabriele Nissim, è la risposta al nichilismo distruttivo dei terroristi “che anelano la morte contro il nostro desiderio di vivere”.
Ma di cosa parliamo quando facciamo riferimento al terrorismo islamista che ha colpito l’Europa? A rispondere, Olivier Roy, che in tema di radicalismo e mondo islamico è considerato uno dei maggiori esperti a livello internazionale. “Il terrorismo di per sé non è niente di nuovo. Lo avete vissuto qui in Italia con gli anni di piombo. Ciò che il terrorismo islamista ha portato con sé è questa dimensione nichilista della ricerca della morte, una spinta mortifera diventata l’aspetto più spaventoso di questa minaccia”. Dati alla mano, ha spiegato Roy che ha indagato sugli attentati in Francia e in Belgio degli ultimi 20 anni, “il profilo dei terroristi, ispirati dalla propaganda islamista, non è cambiato: il 65 per cento sono di seconda generazione mentre quasi nessuno è della terza. Altra categoria ampiamente rappresentata tra gli attentatori, quella dei convertiti”. Ed è su queste due realtà che si devono concentrare, sottolinea l’esperto, gli sforzi per capire la radicalizzazione che ha colpito e ferito l’Europa. “Parliamo di giovani non inseriti. – spiega Roy – Il 90 per cento non ha una formazione religiosa islamica solida. Pochi parlano arabo, bevono alcool e fanno parte della piccola criminalità. Il problema del radicalismo islamico ha così esacerbato una situazione già difficile. Dobbiamo portare avanti una risocializzazione di queste realtà, riacculturarle all’Islam”.
Dalla rivoluzione iraniana all’11 settembre fino all’Isis, il giornalista Alberto Negri ha ricordato al pubblico il quadro storico e geopolitico che ha portato al mutamento dell’equilibrio globale. “Prima era l’Afghanistan il confine del terrorismo, da lì arrivava la minaccia ma oggi quello stesso confine si è spostato molto più vicino, a portata di volo charter, in Turchia”, ha sottolineato Negri, ricordando come la guerra – contro l’Isis in particolare ma non solo – oggi è alle porte dell’Europa e al suo interno, con tutti i foreign fighters partiti per Siria e Iraq.
Per lo scrittore Hafez Haidar bisogna superare alcune ipocrisie: “a livello mondiale, una delle strategie deve essere chiudere le fabbriche di armamenti che commerciano con terroristi, boicottare quegli stati stati che finanziano con armi e denaro il terrorismo”, afferma Haidar, parlando anche lui di diffusione della cultura anche in quel mondo islamico integralista, dove, ad esempio, “dobbiamo promuovere i diritti delle donne”. D’altro canto, lo scrittore ha invitato ha non farsi prendere dal panico di fronte alla questione profughi: “il mio Paese, il Libano, ha una popolazione di 3,5 milioni di abitanti. Tra siriani, palestinesi, iracheni, somali, ospita 3 milioni di migranti”. Difficile definirla una situazione idilliaca vista la complicata situazione sociale, economica e politica del Paese, ma aiuta a mettere le questioni in una prospettiva diversa, così come si propongono gli appuntamenti organizzati da Gariwo.

d.r. @dreichelmoked

(15 febbraio 2017)